L’architettura religiosa del distretto pompeiano: conoscenza, conservazione, valorizzazione

Collaboratore: arch. Margaret Bicco

Tutor: prof. arch. Marina D’Aprile

 

Sommario

Il patrimonio chiesastico pompeiano: pre-catalogo e conoscenza dei siti

Classificazione dei siti chiesastici: qualità, morfologie e problematiche conservative

La conoscenza per la conservazione: selezione e catalogazione dei siti

Il nuovo modello di scheda di valutazione

Chiesa del SS. Salvatore

Cappella della Madonna delle Grazie detta “La Rotonda”

Chiesa di S. Maria dell’Arco

Cappella della Madonna dell’Assunta

Chiesa del Sacro Cuore di Gesù

Chiesa di S. Maria Assunta in cielo

Chiesa di Maria SS. Immacolata Concezione

Chiesa di S. Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria

Proposta di itinerari turistico-culturali per la valorizzazione del patrimonio chiesastico pompeiano.

 

Fig. 1. Pompei, planimetria urbana con individuazione dei casi censiti.

 

Il patrimonio chiesastico pompeiano: pre-catalogo e conoscenza dei siti

Grazie alla propedeutica attività di pre-catalogazione, esito del primo trimestre di lavoro, si è proceduto al perfezionamento della fase d’identificazione dei manufatti, attualmente vigenti, componenti il patrimonio chiesastico del territorio. Il primo screening, delle cui qualità, finalità e modalità di attuazione si era già data contezza nei precedenti report, ha restituito un primo analitico catalogo dei valori architettonici, storici, religiosi e culturali sedimentati in ciascun episodio del comparto, insieme alla definizione delle condizioni conservative generali e d’uso specifiche di ciascun sito. Mediante l’ordinata valutazione delle connotazioni spaziali, figurali, documentali, materiche e culturali emergenti in ogni contesto del repertorio così definito si sono, dunque, selezionati i casi di maggiore significatività, destinatari della successiva definizione di indirizzi e protocolli di salvaguardia e valorizzazione, per la determinazione dei quali è stato approntato l’ulteriore necessario approfondimento della documentazione dei singoli episodi, attraverso la catalogazione delle pertinenti specificità (schedatura). La selezione di fabbriche così realizzata ha restituito le chiese e le cappelle del distretto di maggior qualità culturale rivelandone tuttavia, anche la vulnerabilità sul piano della conservazione.

Unitamente ad una valutazione dei contenuti culturali del repertorio chiesastico nella sua attuale vigenza, la pre-catalogazione ha restituito anche una prima generalizzata sistematizzazione delle permanenze e delle variazioni morfologiche, tipologiche e materico-costruttive che definiscono l’insieme delle fabbriche considerate nel loro complesso, ed anche una generalizzata definizione delle fragilità e delle mancanze che ne connotano usi e stati conservativi attuali.

 

Classificazione dei siti chiesastici: qualità, morfologie e problematiche conservative

Le fabbriche inventariate con le schede di pre-catalogo hanno consentito l’individuazione di due gruppi principali, distinti in funzione delle soluzioni strutturali e delle cronologie di fondazione. Una prima categoria raggruppa le chiese di fattura tardottocentesca e di primo Novecento, in muratura portante con volte d’identica costituzione, coperte da lastrici solari protetti dai tradizionali battuti di lapillo (Madonna dell’Arco, Madonna dell’Assunta, S. Paolino da Nola, Madonna delle Grazie, SS. Salvatore, S. Antonio, Sacro Cuore e, della diocesi di Sorrento-Castellammare Sacro Cuore di Gesù e i Sacri cuori di Gesù e Maria).

Questi impianti, costruttivamente da riferire interamente alla locale cultura edilizia contemporanea, ancora lontana dalla generalizzata adozione di materiali e pratiche industriali, connotata dall’uso prevalente di risorse autoctone (trachiti e scheggioni di pietrarsa per i paramenti e pomici e lapilli per gli orizzontamenti), con ben limitate varianti rispetto al coevo panorama partenopeo e secondo procedure riscontrabili comunemente anche nel restante comparto vesuviano costiero, sostanziano gli organismi di maggiore interesse ai fini dello studio, non soltanto dal punto di vista storico-critico e materico-costitutivo, ma anche sul piano dell’operatività della conservazione, raggruppando i casi che più necessitano di protezione e della valorizzazione di spazi e funzioni. Dal punto di vista morfologico, per volumi sempre di dimensioni piuttosto modeste, ricorrono disposizioni sia centrali, dal punto di vista della qualità architettonica, senza dubbio, le più interessanti, sia ad aula con sviluppo longitudinale e cappelle laterali. L’insieme si caratterizza uniformemente per l’adozione di linguaggi di stampo storicistico, in media d’ispirazione neoclassica e con accenti neorinascimentali, con apparati decorativi in stucco di semplice geometria e configurazione, prevalentemente, senza membrature e partiti lapidei di pregio, e con superfici intonacate, spesso, anche di recente fattura. Molti di questi organismi, infatti, sono stati diffusamente modificati da consolidamenti e ristrutturazioni seriori, soprattutto approntati nell’ultimo quarto del XX secolo. Gli stati conservativi pertinenti risultano di differente complessità e patologia. Accanto a fabbriche interessate da recenti interventi manutentivi vigono, ad esempio, esemplari largamente compromessi dall’utilizzo di elementi e strutture in c.a., che vanno dunque inquadrati in una prospettiva operativa della conservazione del tutto peculiare (complesso del Sacro Cuore ala nord).

Il secondo gruppo di manufatti inventariati con il pre-catalogo comprende le chiese a struttura portante, orizzontamenti e coperture in c.a., uniformemente ascritte agli anni Sessanta-Ottanta del Novecento, in media, connotate da condizioni conservative buone e da qualità artistico-figurative e architettonico-costruttive, in qualche caso, anche di valore ed interesse (la “Vela”, S. Maria Assunta in cielo, Maria SS. Immacolata Concezione, S. Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria). Anche dal punto di vista materico-costruttivo alcuni degli edifici indicati presentano elementi peculiari che, potendosi pure giovare della testimonianza fornita dai grafici e dalle documentazioni di progetto, consentono approfondimenti significativi sotto il profilo tecnologico e della durabilità degli apprestamenti adottati, consentendo, dunque, anche relativamente a quest’ultimo repertorio di fabbriche, la determinazione di indirizzi finalizzati alla loro corretta manutenzione e/o al competente miglioramento prestazionale. Nella terza fase del lavoro, quindi, l’analisi di questi manufatti ha determinato la redazione di un registro sistematico delle rispettive consistenze materico-costruttive, con allegate documentazioni grafiche e fotografiche, al regesto degli elementi e apparati di pregio e delle loro condizioni, alla determinazione delle patologie di degrado materico e funzionale di maggiore impatto, dunque alla predisposizione dei relativi indirizzi di manutenzione e protezione. Relativamente, infine, ai soli impianti di pregio sono in itinere gli studi delle possibili pratiche di valorizzazione, segnatamente, con la definizione di appropriati itinerari turistico-religiosi. All’interno di percorsi culturali appositamente definiti per la conoscenza e la migliore fruizione del patrimonio architettonico contemporaneo del distretto, questi organismi, infatti, certamente rappresentano adeguate mete turistiche, anche per i repertori artistici e scultorei ivi allocati.

 

Fig. 2. Pompei, planimetria urbana con individuazione dei casi selezionati per le schede di catalogo.

 

La conoscenza per la conservazione: selezione e catalogazione dei siti

In ragione delle valenze culturali individuate con il pre-catalogo, degli stati conservativi vigenti e, naturalmente, anche delle ricerche esperite nelle passate attività del Benecon sul medesimo territorio, sono stati selezionati per gli ulteriori approfondimenti conoscitivi soltanto alcuni dei manufatti in muratura portante inventariati (Madonna dell’Arco, Madonna dell’Assunta, Madonna delle Grazie, SS. Salvatore, Sacro Cuore), ed alcuni degli organismi di più recente impianto (S. Maria Assunta in cielo, Maria SS. Immacolata Concezione, S. Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria).

La catalogazione degli esemplari elencati è coincisa con la redazione della “scheda A” dell’ICCD, successivamente implementata con un nuovo modello di scheda di valutazione, per consentire una lettura mirata e analitica degli stati conservativi di materiali, strutture e superfici, senza la quale sarebbe stato davvero aleatorio suggerire analitici protocolli d’intervento.

Con la redazione della scheda “A” si è principiato l’approfondimento delle aspetti materico-costruttivi delle opere selezionate ricostruendone, dal momento della fondazione all’attualità, cronologie e modalità esecutive anche delle maggiori trasformazioni seriori (restauri, consolidamenti, ristrutturazioni).

Si è inoltre, approfondita la ricerca documentaria, grafica e cartografica presso gli uffici tecnici e l’archivio storico del Comune, gli archivi parrocchiali, l’archivio dell’Ufficio Tecnico della Curia e l’archivio “Bartolo Longo”, recuperando documenti, grafici e pratiche di cantiere originali e, massimamente inediti. Altre indagini sono state svolte presso l’Archivio di Stato di Salerno, consultando i fondi Intendenza – Affari Ecclesiastici vari, Intendenza – Opere Pubbliche e Tribunale Civile (sez. Perizie-Cartografia), sulla base della considerazione che, nella seconda metà dell’Ottocento, alcune delle fabbriche in esame, come ad esempio la Cappella della Madonna delle Grazie detta “La Rotonda”, si ritrovavano sotto la giurisdizione del comune di Scafati in provincia di Salerno[1]. In questa maniera si sono integrati i dati reperiti precedentemente presso gli archivi della competente Soprintendenza di Napoli. L’indagine documentaria costituisce un canale prezioso di approfondimento degli aspetti materico-costruttivi, altrimenti difficilmente reperibili attraverso l’esame diretto, almeno limitatamente ai casi in cui le superfici appaiono mediamente ben intonacate. Nonostante le troppe limitazioni alla consultazione si è principiato, poi, lo scandaglio anche presso l’Archivio della Curia di Nola, diocesi presso la quale, prima del generalizzato passaggio al Santuario mariano, tutti gli organismi catalogati, uniformemente riferivano. Resta da dire infatti, che il comprensorio di fabbriche così individuato, quasi costantemente, riferisce le singole fondazioni alla necessità di sostituire organismi pregressi, in media pesantemente degradati e/o in rovina, demoliti e, quindi ricostruiti, anche in altro sito, in forma sostanzialmente diversa. Questa ed altre peculiarità suggeriscono ulteriori interessanti elementi identitari di questo repertorio.

Il nuovo modello di scheda di valutazione

Mediante l’ideazione di nuovo modello di scheda, ripetutamente editato per meglio calibrarsi sui singoli casi di studio, insieme ai dati identificativi dei singoli episodi censiti ed a quelli dedotti dalle ricerche storico-documentarie che, per ogni organismo, hanno registrato evoluzioni e caratteri delle pertinenti fasi costruttive e/o trasformative degli impianti originali, si sono registrate le annotazioni relative alle specifiche costituzioni materico-strutturali e le osservazioni inerenti gli stati conservativi precipui, con peculiare riferimento alle condizioni di conservazione di materiali, finiture ed elementi strutturali, il tutto rilevato con l’ausilio di indagini dirette e indirette e, riguardo alla sola facciata principale, con riprese mosaicate fotoraddrizzate, tali da consentire una lettura dettagliata dei principali valori materici e figurali presenti, sì come dei fenomeni di degrado e dissesto competenti le singole superfici. Inoltre, per alcuni casi studio, dove la presenza di intonacature grosso modo integre non consente un’analisi ravvicinata delle costituzioni materico-strutturali, è stata intrapresa una campagna diagnostica mediante termocamera FLIR T420bx. Le riprese termografiche, eseguite al fine di rivelare eventuali difformità di comportamento delle qualità materiche individue e, quindi,  l’eventuale presenza di processi degenerativi non distinguibili ad occhio nudo, hanno rivelato, tra l’altro, alcune trasformazioni (tamponature di aperture, presenza di cavità, di giunti, etc.) subite precedentemente dagli impianti indagati e oggi difficilmente rilevabili data l’omogenea intonacatura delle superfici. Per la chiesa dedicata al SS. Salvatore, ad esempio, l’indagine termografica effettuata sulla parete presbiteriale esterna ha rivelato la presenza in sommità, di un precedente oculo di sagoma circolare poi tamponato, presumibilmente approntato in conseguenza dell’intervento di adeguamento liturgico attuato negli anni Sessanta del Novecento. Il ricorso a tale adattamento dello spazio chiesastico seppur non documentato da grafici o relazioni, era già emerso attraverso il confronto planimetrico tra la situazione attuale e le diverse piante redatte in occasione del progetto ottocentesco, documentazione regolarmente allegata alla scheda, rintracciata nel corso della ricerca archivistica relativa. Ancora oggetto di studio e, in fase di ulteriore elaborazione, è inoltre il riscontro ottenuto tramite la ripresa termografica di alcune tracce che sembrerebbero riferire ad una copertura differente dalla configurazione piana attuale. Inoltre, è stato indagato il prospetto est dell’adiacente canonica, che sembrerebbe rivelare la presenza di due piccoli oculi tamponati alla base del campanile realizzato in sopralzo, e le facciate principali di ulteriori quattro casi studio scelti tra quelli di maggiore interesse storico-culturale: la cappella di S. Maria delle Grazie, la chiesa di S. Maria Assunta in Cielo, la chiesa del Sacro Cuore di Gesù e l’impianto dedicato a S. Maria dell’Arco in località Giuliana. A parte l’ultimo organismo citato, per il quale s’intende procedere con una specifica campagna di ulteriori e differenziate indagini diagnostiche, le fabbriche sottoposte alle riprese termografiche sono, omogeneamente caratterizzate dalla presenza di intonaci e finiture pressoché integri, tali da impedire il riscontro diretto delle caratteristiche materiche specifiche, ragione per cui si è scelto di ricorrere alla procedura diagnostica indicata, in grado, infatti, almeno per limitati spessori, di “leggere” eventuali differenze costitutive e tracce stratigrafiche significative. Mentre per i primi due casi citati l’intensità di radiazione emessa dalle facciate è risultata globalmente omogenea, per la chiesa del Sacro Cuore di Gesù la ripresa sembrerebbe rivelare in sommità la preesistenza di un’iscrizione, presumibilmente ascrivibile alla primitiva destinazione d’uso della fabbrica, come già evidenziato, utilizzata originariamente come orfanotrofio. In particolare, inoltre, il fronte della chiesa di S. Maria dell’Arco ha evidenziato  un’intensità di radiazione fortemente disomogenea, con le zone più fredde registrate in corrispondenza del basamento, evidenziando, quindi, l’accumulo di infiltrazioni dovute presumibilmente a fenomeni di rimbalzo, ed al conseguente mancato allontanamento delle acque provenienti dal normale dilavamento della superficie indagata. Nello stesso organismo, inoltre,  la ripresa termografica ha anche riscontrato alcune tracce che, all’altezza del secondo registro, sembrerebbero evidenziare la preesistenza di una diversa e più bassa copertura a doppia falda dell’invaso, forse limitata alla sola parte anteriore dell’attuale configurazione spaziale che, proprio per le incertezze rilevate, è ancora oggetto di studio e di ulteriore elaborazione, essendo questo aspetto particolarmente rilevante ai fini dello studio stratigrafico e costruttivo dell’impianto, quindi, all’interpretazione degli attuali quadri di degrado e dissesto che lo connotano.

Le analisi svolte riportate nel modello di scheda in parola, oltre alla lettura dei dati costitutivi e delle condizioni conservative proprie ad ogni impianto, sono sfociate anche nella preliminare determinazione delle tipologie d’intervento previste per la conservazione/manutenzione/ valorizzazione di ogni episodio. Sono così evidenziati: le categorie d’intervento distinte tra restauro, consolidamento strutturale, restauro dei materiali e delle superfici, opere di presidio, miglioramento sismico, inserimento corpi di nuova costruzione, manutenzione, consolidamento, sostituzione elementi e/o finiture incompatibili, rimozione del degrado visivo, etc.; i singoli elementi, componenti e strutture della fabbrica interessati dagli interventi proposti; la sistemazione/aggregazione di spazi ed aree attrezzate destinati alle attività (sociali, religiose, o altro) ed ai servizi (parcheggi, depositi, etc.) di corredo all’attività liturgica, l’aggiornamento e/o ristrutturazione impiantistica con specificazione del tipo di impianti su cui intervenire, la rimozione delle barriere architettoniche e degli altri componenti che ne limitano una completa fruizione e l’indicazione degli eventuali itinerari turistico-religiosi cui riferire l’organismo per agevolarne la competente valorizzazione, segnalando cioè, l’eventuale vocazione dell’impianto ad essere inserito in tali opportuni percorsi, per potenziare visibilità e fruizione dei valori e dei significati materici, figurali, storico-religiosi, individuati e registrati come elementi da tutelare particolarmente nella prima parte della scheda.

Sono stati predisposti, infine, anche i necessari allegati per la lettura, l’approfondimento e la verifica dell’organismo schedato. In generale, per ogni impianto tali materiali comprendono: rilievo grafico e fotografico della situazione attuale; planimetrie urbana e catastale odierne; iconografia storica grafica, cartografica e fotografica; copia delle documentazioni archivistiche reperite, funzionali alla ricostruzione cronologica dello sviluppo edilizio e alla definizione degli interventi attuati successivamente alla fondazione e fotomosaico fotoraddrizzato della facciata d’ingresso. In particolare, quest’ultimo elaborato, integrato dalla lettura materica diretta dell’organismo, in qualche caso anche coadiuvata dal ricorso all’indagine termografica, ed alla ricostruzione delle qualità materico-strutturali ricavata attraverso l’analisi del competente materiale d’archivio (computi, relazioni, contratti di fabbrica) consente una più dettagliata e spedita restituzione e/o interpretazione delle caratteristiche materiche e dei relativi quadri di degrado e dissesto, coadiuvando quindi significativamente la scelta degli indirizzi e delle categorie d’intervento più adeguati e compatibili con le configurazioni da tutelare e valorizzare.

Di seguito è riferita la sistematizzazione dei dati desunti dalla catalogazione dei primi impianti tra quelli selezionati.

Fig 3

Fig. 3. Pompei, chiesa SS. Salvatore, ripresa termografica della parete absidale, particolare dell’oculo tamponato.

Fig 4

Fig. 4. Pompei, chiesa Sacro Cuore, ripresa termografica della facciata, particolare.

Fig 5

Fig. 5. Pompei, chiesa Madonna dell’Arco, facciata, particolare della ripresa termografica del secondo registro.

Fig. 6. Pompei, chiesa Madonna dell'Arco, ripresa termografica del basamento.

Fig. 6. Pompei, chiesa Madonna dell’Arco, ripresa termografica del basamento.

 

Chiesa del SS. Salvatore.

La chiesa del SS. Salvatore desta un interesse peculiare, più che dal punto di vista artistico e architettonico, sul piano culturale e storico-religioso, in quanto assume un valore particolarmente rappresentativo per questo territorio, costituendo, come già ricordato, l’elemento generatore di ogni altro episodio chiesastico e, in generale, religioso delle pertinenze esaminate, finanche dello stesso Santuario mariano. Progettata alla fine del XIX secolo dal noto architetto Giovanni Rispoli su commissione dell’avvocato Bartolo Longo ed appaltata da Gennaro Accardi, la sede viene inaugurata nel 1898. In base al materiale documentario reperito, lo studio di questa fabbrica consente interessanti approfondimenti su materiali e procedure esecutive adottate nel cantiere tradizionale al volgere del XIX secolo, agevolando riflessioni di ordine più generale sulla cultura costruttiva locale e sulla preparazione dei tecnici coinvolti. I dati documentano segnatamente gli aspetti materico-costruttivi dell’organismo, innanzitutto le fondazioni impostate sul piano detto del “bracciariello” ad una profondità di 3.50 m, realizzate in muratura di scheggioni vesuviani[2]. I setti fuori terra, anch’essi in scheggioni di trachiti e pietrarsa, sono realizzati «a due fronti»[3], probabilmente volendo con questa espressione riferire a murature a sacco con le pezzature volumetricamente e morfologicamente più grandi e regolari poste nei paramenti e nucleo, comunque apprestato contestualmente ai fronti, confezionato con le pietre, comunque rustiche, più piccole ed eterogenee, annegate in abbondante malta di granulometria grossolana, con uno spessore compreso tra 1.30 e 1.50 m, ridotto ad 1 m in corrispondenza dell’assida e delle cappelle. Per ora nulla può dirsi al riguardo degli impasti. Mentre sappiamo che, in blocchi di tufo sono i sei archi trasversali della volta a botte che copre l’invaso in pomici del Viulo. Tale toponimo riferisce ad un cratere, individuato tra Torre del Greco e Torre Annunziata, non lontano da un secondo sito di estrazione di simile qualità, posto più a nord e denominato “Fosso della Monaca”, con accumuli di pomici conseguenti all’eruzione del 1760[4]. La contabilità del cantiere di fondazione della chiesa documenta la realizzazione di lastrico solare sulla volta di copertura, rivestito in battuto di «lapillo bianco»[5], ovvero del consueto materiale vesuviano, spesso preferito alla varietà nera, dalla scarsa resistenza meccanica ma dalla ben nota leggerezza e ottima deformabilità e coibenza[6], oggetto purtroppo di ripetute manomissioni, fino al più recente occultamento con asfalto[7] e successivamente con  guaine bituminose. L’uso sconsiderato di queste ultime, segnalato fin dal 1961 da Roberto Pane[8], è attribuibile, com’è noto, proprio alla mancata conoscenza generalizzata delle caratteristiche prestazionali di questo magistero e, soprattutto alla perdita di artigiani competenti in questo settore che, già negli anni Sessanta, risulta aver spesso perso le conoscenze necessarie alla manutenzione dei battuti, cioè al risarcimento delle loro lesioni (sarcitura), avendo progressivamente perduto ogni dimestichezza con le pratiche storiche. Comunque, il computo redatto nell’ultimo decennio dell’Ottocento da G. Rispoli, conferma quanto fosse ancora comune, a quella data, l’adozione dei “battuti di lapillo” per la coibentazione e l’isolamento degli estradossi di copertura testimoniando, altresì, la persistenza del costume di coprire la superficie a battitura ultimata con uno strato di paglia per almeno due mesi, affinché asciugasse gradualmente e uniformemente. Ulteriori segnalazioni interessanti sull’utilizzo dei magisteri tradizionali, in questo caso, rimandano all’impiego di casseformi lignee «alla romana», sia per la realizzazione delle fondazioni sia per le strutture voltate[9]. Altre annotazioni riferiscono alle modalità di esecuzione degli elementi decorativi, come  le basi e i capitelli delle dodici lesene di ordine dorico che caratterizzano le pareti interne realizzate  con “spaccatelle” di tufo (la spaccatella aveva regolarmente dimensioni più contenute rispetto alle pietre di fabbrica correnti)[10] dal profilo appositamente sagomato, adoperate anche «lavorate e sfettate sul fronte» per l’esecuzione della sopracornice. Differentemente le cornice di coronamento degli architravi sono impostate su un ossatura di mattoni, attestati «in apposite caraci». Documentata è anche la formazione dell’edicola, realizzata per ospitare la statua del SS. Salvatore, decorata da «mostra, pilastri ed alette», e il reimpiego di alcuni arredi provenienti dalla preesistente sede, come il battistero, la balaustrata, gli altari marmorei, trasportati e ricomposti su supporti in muratura di tufo con malta di gesso e grappe di ottone. Delle antiche mense non è specificato né il numero né l’ubicazione, in effetti, pur presentando attualmente la chiesa quattro altari, oltre l’altare maggiore di fattura contemporanea, gli unici due presenti nell’impianto attuale fin dal 1898, data dell’inaugurazione, coincidono con i due esemplari posti nella terza cappella nord, dedicata a S. Anna già S. Francesco, e nella simmetrica a sud, dedicata al SS. Salvatore, già SS. Addolorata nel 1899 e, nel 1916, intestata alla Madonna del Carmine, entrambe sistemate al limite dell’area presbiteriale.

In corrispondenza della prima campata, un tempo, erano due confessionali simmetricamente disposti rispetto all’ingresso, come documentato da una descrizione della chiesa redatta nel 1899 in seguito alla sua inaugurazione[11], mentre la campata intermedia ospitava a sud il fonte battesimale e a nord il vano di accesso all’adiacente sagrestia, dunque coeva alla coeva alla fondazione dell’organismo. Dalla descrizione del 1899 si apprende, inoltre, che dalla porta della sagrestia, nella quale era pure uno spogliatoio, era possibile uscire all’esterno e anche salire al piano superiore, «dove si raggiunge attraverso una scala l’alloggio del parroco, la cantoria, la terrazza e il campanile», sostanzialmente, secondo quanto ancora oggi si vede.

Degli altari descritti, assimilati da una concezione formale comune, il primo, titolato a S. Anna, è dotato alla base di lastra marmorea con incisa una dedicazione che precede l’edificazione della chiesa odierna: «A devozione di Angelo Tortore 1867» a testimonianza del fatto che facilmente, potrebbe provenire dalla prima sede. I rimanenti due altari attualmente presenti nell’aula presero il posto dei confessionali descritti soltanto due decenni dopo la fondazione, come riferiscono le loro iscrizioni: «A devozione dei Valpompeiani 1919». Tra gli elementi di reimpiego è menzionata anche la cantoria, ma con le integrazioni necessarie a costituire un solido piano di calpestio, ed un parapetto ligneo ornato da riquadrature scorniciate e bugnate con  «dipintura bianco ad olio»[12]. Dal computo metrico si evince anche la tinteggiatura prevista per la facciata «color pietra vesuviana e mattoni»[13], evidenziando una bicromia diversa da quella dello stato attuale basata sulla giustapposizione del giallo della specchiature lisce ed il grigio chiaro dei risalti come i cantonali e le modanature del primo e secondo registro.

Si segnala, inoltre, il rinvenimento di un’inedita edizione della pianta di progetto[14] datata 1 febbraio 1897, in cui è illustrata una versione dell’esedra antistante la fabbrica più profonda (12.40 m) rispetto a quanto rappresentato (7.70 m), nella pianta già pubblicata[15], di due mesi antecedente per una larghezza costante di 26.40 m, documentando una probabile variante in corso d’opera. Tale “muro di precinzione” è progettato anch’esso in muratura intonacata di scheggioni “a due fronti”, rifinita da una fascia superiore a risalto prevista solo sulla fronte prospiciente il sagrato e dotato di un cancello in ferro con piastre e bastoni ornati “alla francese”. La conformazione attuale del sagrato, delimitato a nord e a sud da setti murari rettilinei, denota la mancata realizzazione dell’esedra, anche nella variante del 1897. Anche la descrizione del 1899 menziona «il vasto piazzale cinto di mura» che anticipa la chiesa[16]. Un ulteriore indizio in merito alla conformazione del sagrato è fornito dal rinvenimento di un carteggio dei primi anni del Novecento, tra il parroco pro tempore e l’ingegnere Giulio Mascoli della Società Meridionale di Elettricità[17]. Va infatti segnalato un procedimento di esproprio in corso fin dal 1902, di cui è responsabile l’ingegnere G. Mascoli dell’Ufficio Espropriazioni della predetta società, sull’area antistante la chiesa del SS. Salvatore per ben 35 mq, cui il parroco tentò di opporsi, giungendo a rinunciare alla costruzione del muro, purché l’esproprio rientrasse al massimo nei 20 metri quadri concordati inizialmente.

Nel 1899 B. Longo, nel descrivere la chiesa da poco ultimata, affermò che «la lunghezza della navata, compresa l’assida è di oltre 20 metri, la larghezza è di otto». Le dimensioni,  al netto degli spessori murari e delle cappelle laterali, sono confermate anche dall’indicata pianta quotata del 1897. Longo affermò inoltre, con eccessiva enfasi che «tutta la superficie rappresenta il quadruplo di quella dell’antica parrocchia»[18]. Le dimensioni della primitiva fabbrica del SS. Salvatore registrate in diversi documenti evidenzierebbero invece un rapporto di poco meno di 1:3 tra i due edifici di culto. Infatti, a partire dal 1835, «la cappella rurale di Valle sotto il titolo del SS. Salvatore» viene descritta «dell’estensione di palmi 20 per 36»[19] cioè, circa 5.30 x 9.50 m corrispondenti a 50.4 mq rispetto ai 160 mq del nuovo progetto. Nel 1841 si confermano le misure precedenti, dichiarando la vigenza di una «piccola chiesa lunga palmi 37 e larga palmi 21»[20]. Nel rilievo dell’architetto Carlo Coppola del 1850 si riscontra una più dettagliata descrizione della fabbrica, comunque confermando le dimensioni già dichiarate in precedenza, ossia «lunghezza palmi 36, larghezza palmi 20.20», documentando altri elementi di confronto con la configurazione che successivamente essa assunse, come le dimensioni in alzato «altezza fino all’imposta della volta p. 16 e 1/2» circa 4.3 m e anche il «sesto della volta a botte p. 8.25» corrispondente a circa 2.15 m, testimoniando, quindi il mantenimento della morfologia di copertura adottata nel progetto di Rispoli. Tali dati lascerebbero supporre, quindi, una riedificazione della sede chiesastica, comunque, ispirata alla pregressa conformazione, ma di maggiori proporzioni. Ancora non possiamo dire però, riguardo agli altri ambienti componenti il complesso e, soprattutto, alla facciata della chiesa tardottocentesca se Rispoli, anche in questo caso, volle mantenerne i caratteri formali principali.

Il computo citato[21] include anche la misura della sagrestia coperta da due volte a vela in pomici del Viulo con gli annessi locali di servizio e sovrastante casa canonica, uniformemente realizzati in muratura di scheggioni vesuviani con lastrici solari in battuto di lapillo bianco.

Le finiture erano previste previo abbozzo, in intonachino steso “a regolo”. Per la pavimentazione furono messi in opera «quadroni di Santamaria sopra masso di malta»[22], mentre attualmente l’invaso presenta un pavimento marmoreo. Il toponimo potrebbe riferirsi ad una fornace di S. Maria Capua Vetere ancora attiva nel XIX secolo[23]. Sempre nella descrizione del 1899 è documentato che, al fine di «accrescere il decoro ed il rispetto del sacro sito, nei due lati di Mezzogiorno e di Occidente, si sono lasciate due ampie zone di terreno» libere. Ma nel corso dei decenni, come si evince dalle planimetrie urbane tra il 1959 e il 2008, oltre al frazionamento del lotto con sistemazione anche dell’area retrostante ad attrezzature sportive pertinenziali, risultano pure ampliati gli ambienti di servizio della parrocchia e la canonica, appunto con l’occupazione di tali aree originariamente libere. In particolare, un primo incremento delle volumetrie di tali ambienti è registrato fin dal 1959, mentre un ulteriore incompatibile accrescimento avvenuto addossandosi alla parete absidale è documentato da un rilievo del 2003 eseguito dall’arch. M. Varone[24]. Degno di nota è, in particolare, il rinvenimento di una seconda pianta inedita del complesso[25] redatta il 28 maggio 1898 dall’architetto Giovanni Rispoli e firmata dal vescovo di Nola Agnello Renzullo, Diodato Sansone, dal parroco Gennaro Federico, dal dottor Giacomo Tosi segretario comunale e da Bartolo Longo. Tale pianta registra l’attuale conformazione del sagrato delimitato a nord e a sud da setti murari rettilinei, e dunque conferma, come già ipotizzato nel report precedente, la mancata realizzazione dell’esedra inizialmente prevista dal progetto del Rispoli per la configurazione del sagrato, proposta, come si è detto, in due varianti: la prima profonda 7.70 m, la seconda, mantenendone invariata la larghezza, di 12.40 m. Pur mantenendo la stessa profondità della seconda versione, il Rispoli adotta, infine, per la delimitazione del sagrato angoli retti a vantaggio di una maggiore larghezza della piazza che dai 26.40 m iniziali raggiunge così 33.00 m. Infatti, il pozzo previsto nel settore settentrionale dell’esedra risulta traslato verso occidente in corrispondenza della parete nord della canonica. Inoltre, tale pianta redatta in scala 1:100, rivela l’originario assetto anche dell’area presbiteriale – quello attuale è infatti frutto di un intervento degli anni Sessanta del Novecento – con l’altare marmoreo addossato alla parete absidale, nella quale risulta un’edicola ricavata nello spessore murario e anticipata da due colonnine, creata per allogarvi la statua del Santo cui la chiesa è intitolata. La descrizione del Longo aggiunge particolari sull’assetto formale dell’originaria soluzione absidale affermando che, costituendo la «parte principale della chiesa» l’edicola è «ricca di ornati e sul frontone presenta due figure scultorie, ed il tutto forma un assai vago insieme»[26].

Sul piano conservativo vanno evidenziate alcune criticità, non ultima, la problematicità rappresentata dalle vibrazioni indotte su strutture e finiture dalla presenza dell’adiacente impianto ferroviario (Circumvesuviana). In buono stato relativamente agli interni, per gli esterni va, invece, rilevata l’incompatibilità fisico-chimica di intonaci e tinteggiature di sostituzione, approntati con impasti cementizi e coloriture filmogene. Più propriamente occorrerebbe adottare impasti a base di calce naturale additivata e coloriture a base di terre, ripristinando altresì l’originaria bicromia prevista dal Rispoli, giocata sul grigio della pietra vesuviana ed il rosso mattone. Le condizioni ambientali, già compromesse dal traffico veicolare e ferrato, rendono auspicabile, inoltre, una migliore sistemazione del sagrato, paradossalmente reso oggi meno fruibile dall’avervi piantumato alcuni alberi di ulivo nel 2005, in occasione della dedicazione dello spazio al Pontefice Giovanni Paolo II.

Fig. 7. Pompei, chiesa SS. Salvatore, facciata con adiacente casa canonica.

Fig. 7. Pompei, chiesa SS. Salvatore, facciata con adiacente casa canonica.

Fig. 8. Pompei, chiesa SS. Salvatore, interno, particolare dell'aula liturgica.

Fig. 8. Pompei, chiesa SS. Salvatore, interno, particolare dell’aula liturgica.

Fig. 9. Rispoli G., Pianta della nuova Parrocchia del SS. Salvatore in Valle di Pompei. Proprietà Comm.r Bartolo Longo (ABL, Sez. 1, f. 4, a. 1897).

Fig. 9. Rispoli G., Pianta della nuova Parrocchia del SS. Salvatore in Valle di Pompei. Proprietà Comm.r Bartolo Longo (ABL, Sez. 1, f. 4, a. 1897).

Fig. 10. Rispoli G., Pianta della nuova Parrocchia del SS. Salvatore in Valle di Pompei. Proprietà Comm.r Bartolo Longo (ADNo, Valle di Pompei, a. 1898).

Fig. 10. Rispoli G., Pianta della nuova Parrocchia del SS. Salvatore in Valle di Pompei. Proprietà Comm.r Bartolo Longo (ADNo, Valle di Pompei, a. 1898).

 

Cappella della Madonna delle Grazie detta “La Rotonda”.

Il proseguimento dell’indagine d’archivio presso il Santuario ha raccolto anche l’inedita «misura dei lavori di muratura eseguiti»[27] per l’edificazione della cappella dedicata alla Madonna delle Grazie, detta “La Rotonda” per la pianta ottagonale e le chiare allusioni rinascimentali, ubicata in località S. Abbondio. Attraverso il reperimento della contabilità del cantiere della riedificazione ottocentesca (1894-1895) – anch’essa progettata e diretta dall’architetto Giovanni Rispoli che, di li a breve, fu anche autore della riedificazione del SS. Salvatore – è possibile una ricostruzione dettagliata dei materiali e delle tecniche adottate per la realizzazione della soluzione strutturale, restituendo, oltre una preziosa testimonianza sulla sua costituzione, in gran parte celata oggi dall’intonaco, dunque, di difficile determinazione senza la predisposizione di saggi e indagini diagnostiche, un altro interessante spaccato delle pratiche edilizie pompeiane al volgere del XIX secolo, in particolare per l’architettura religiosa.

Come per la chiesa del SS. Salvatore, infatti, sono emersi dati sulle fondazioni, realizzate controterra in muratura continua di scheggioni vesuviani per uno spessore di 2.70 m, sulle piattabande in mattoni con “malta sottile”, sulla “volta a scodella” anche in questo caso confezionata in «muratura di pomici del Viulo», con «arriccio e abbozzo di malta spianato a regolo per ricacciare le otto costole»[28], nonché, sul battuto di lapillo vulcanico dello spessore di 0.15 m, realizzato sul suo estradosso. Sette lati dell’impianto ottagonale sono caratterizzati da superfici in stucco listato a bugne, interrotte da coppie di lesene ioniche, anch’esse in stucco, impostate su un basso podio, ad inquadrare le finestre rettangolari ed il portale. All’ottavo lato, in corrispondenza del presbiterio, è addossato un volume parallelepipedo allungato di altezza inferiore, coevo alla fondazione, adibito a sagrestia. Il portale ha un architrave aggettante su mensole sagomate e una cornice a fasce, il tutto in stucco. Superiormente è un‘epigrafe in marmo di Carrara, che recita: «Matri Divinae Gratiae et Divo Abundio dicatum», mentre nella fascia sottostante è impressa la data di fondazione «XX Oct MDCCCXCV». Tra gli elementi architettonici e decorativi, oltre alle partiture interne in stucco (zoccolatura, lesene e superiore fregio in aggetto), va segnalata la pavimentazione bicroma in marmo bianco e bardiglio a fasce circolari concentriche, corrispondente alle originarie disposizioni di Rispoli. Sul piano conservativo si evidenziano unicamente limitati problemi (erosione, distacchi, esfoliazione, graffiti vandalici) di tenuta delle finiture esterne, soprattutto in prossimità delle zone più dilavate. Data la prossimità del sito al Santuario mariano – cui pure è legato dalla comune attribuzione a B. Longo delle responsabilità generali e della gestione delle realizzazioni, e considerate le peculiarità ambientali del vicino contesto, ripetute sono, infine, le occasioni per includere l’impianto in possibili itinerari turistico-culturali, non soltanto di tipo religioso. Insieme ai citati resti archeologici occorre ricordare, infatti, che nelle adiacenze si posiziona l’ex-Seminario B. Longo, una pregevole realizzazione contemporanea di Simon Pietro Salini e Renato Renosto con l’annessa cappella de “La Vela”, cosiddetta per la particolare copertura, da tempo in abbandono.

Fig. 11. Pompei, località S. Abbondio, cappella Madonna delle Grazie detta "La Rotonda", fronte settentrionale.

Fig. 11. Pompei, località S. Abbondio, cappella Madonna delle Grazie detta “La Rotonda”, fronte settentrionale.

Fig. 12. Pompei, località S. Abbondio, cappella Madonna delle Grazie detta "La Rotonda", altare maggiore.

Fig. 12. Pompei, località S. Abbondio, cappella Madonna delle Grazie detta “La Rotonda”, altare maggiore.

Chiesa di S. Maria dell’Arco.

Ubicata in località Civita Giuliana, la chiesa è situata a nord-ovest della città, al limite del comune di Boscoreale ed a monte dell’area archeologica pompeiana, in una zona ancora oggi a prevalente destinazione agricola, sottoposta a vincolo archeologico, in forza dei ripetuti ritrovamenti di epoca romana. L’edificio in muratura a cantieri di pietra vesuviana desta particolare interesse per la singolare morfologia dell’impianto, trilobato, a sviluppo assiale e con abside semicircolare, i cui volumi laterali raccordati in curva agli ambienti d’ingresso e di fondo, quasi si dispongono come uno pseudo-transetto. In pessime condizioni conservative, nonché privato di parte cospicua delle originarie membrature lapidee, la fabbrica ancora custodisce finiture, elementi e arredi originali, tra cui i due altari in stucco ed un altro marmoreo più recente. L’organismo preserva significative testimonianze della locale tradizione costruttiva tra fine Settecento e primo Ottocento, datandosi al 1830 il compimento dell’attuale assetto. Si segnalano le grate “a bastoni” in ferro battuto a maglia romboidale a ritegno delle finestre ed il portone ligneo a due ante. La facciata, con portale architravato in trachite inquadrato da coppie di paraste che definiscono anche il secondo registro della fronte, è dotata di finestrone centrale e coronamento a timpano in muratura. Il volume che costituisce l’attuale ingresso, di pianta quadrata e coperto a botte lunettata, sembrerebbe appartenere ad un pregresso, più piccolo impianto liturgico, forse ampliato entro il 1830, come suggerirebbe anche la ripresa termografica della facciata principale, dalla quale emergerebbe l’impronta di una precedente, più bassa copertura a spioventi. Una epigrafe marmorea sulla parete a sinistra dell’ingresso ricorda il fondatore Nicola De Rinaldo e la riapertura al culto della sede avvenuta nel 1962, in seguito alla cessione del sito al Pontificio Santuario. In abbandono sin dal sisma del 1980, a causa dei dissesti al tempo provocati, nel citato volume anteriore si procedette ad un consolidamento con sottarco in c.a. dell’arco che immette nello spazio centrale. Le pesanti condizioni di degrado che oggi connotano la fabbrica, con particolare riferimento ai fenomeni di aggressione biologica ed alle incrostazioni saline presenti su volte e superfici verticali, anche ulteriormente aggravate dalla precarietà in cui versano le strutture cementizie, discendono dalle copiose infiltrazioni di acque meteoriche provenienti dalle coperture, mentre dalla risalita capillare si direbbero interessati tanto il basamento che la pavimentazione. Constatato anche il rinvenimento nell’area di testimonianze archeologiche, un’efficace conservazione e valorizzazione delle ex-strutture liturgiche deve forzatamente presumerne oltre alla conservazione della destinazione al culto, tanto radicato tra gli abitanti della contrada, anche un rinnovamento funzionale che, devolvendo l’impianto a fini culturali e/o ricreativi, possa rappresentare un sito di utilità sia per i locali che per i turisti, per i quali potrebbe essere d’interesse anche l’allestimento di un percorso di visita destinato alla tipica architettura rurale che, nella Civita Giuliana, conta ancora alcuni interessanti episodi, sparsi tra noci e noccioli, viti e melograni.

Fig. 13. Pompei, contrada Giuliana, chiesa Madonna dell'Arco, scorcio da ovest.

Fig. 13. Pompei, contrada Giuliana, chiesa Madonna dell’Arco, scorcio da ovest.

Fig. 14. Pompei, contrada Giuliana, chiesa Madonna dell'Arco, interno, area presbiteriale.

Fig. 14. Pompei, contrada Giuliana, chiesa Madonna dell’Arco, interno, area presbiteriale.

Cappella della Madonna dell’Assunta.

La cappella, in precedenza della famiglia Calvanese di Boscotrecase, sorge in località Parrelle, all’interno di un complesso, ora in abbandono, originariamente destinato a masseria gentilizia. Tutt’oggi ne fanno parte un volume devoluto alla residenza dei proprietari, la cappella, da sempre aperta ai locali, e un piccolo cellaio a botte estradossata. L’origine del sito ascriverebbe all’incirca alla metà del XVIII sec., con aggiunte e modifiche apprestate entro la fine dello stesso secolo. L’impianto è, quindi, parte del vasto fenomeno delle ville e delle masserie vesuviane di nobili e alto borghesi, particolarmente diffuso nel corso del Settecento anche nell’entroterra. Ubicata all’incontro della strada provinciale Nolana con via Spinelli, la cappella sorge nella periferia settentrionale della città. Nel 1936 ospitò la missione dei PP. Liguorini, come testimonia un’epigrafe sul prospetto occidentale dove, un tempo, erano allogate le cinque croci documentate in una foto d’epoca. La fabbrica, accessibile da un’ampia scalinata, consta di un’unica navata girata a botte unghiata estradossata, rivestita con battuto di lapillo, conclusa da un’abside semicircolare coperta a semicalotta. Realizzata interamente in muratura a cantieri di scheggioni vesuviani, sul piano conservativo la struttura desta particolare interesse anche sotto il profilo costruttivo, giacché, come nella chiesa alla Giuliana, lo stato di avanzato degrado in cui versa ne ha messo in luce i tanti caratteri esecutivi tradizionali, come la grata a maglia romboidale in ferro battuto del finestrone in facciata e il portone ligneo “scibbiato”, munito cioè delle primitive cerniere, particolari coppie di anelli in ferro, a sostegno del telaio principale, tutti preziosi elementi tardo settecenteschi che, constatate le caratteristiche predominanti del repertorio chiesastico pompeiano, sono da considerare tra gli esemplari di più antica datazione che oggi è possibile rinvenire nel distretto. L’abbandono e il degrado che connotano attualmente il sito, caratterizzato anche dalla persistenza di zone a verde, oltre ai limitati dissesti, evidenziano soprattutto i danni provocati dal precario stato di conservazione delle coperture e degli impianti di allontanamento delle acque meteoriche. Un rinnovamento funzionale dell’intero complesso a fini turistico-ricettivi, magari integrati allo svolgimento di attività culturali e di documentazione e ricerca sul tema delle masserie settecentesche nell’entroterra vesuviano, potrebbe costituire un interessante proposta di sviluppo integrato.

Fig. 15. Pompei, cappella Madonna dell’Assunta, scorcio da via Spinelli.

Fig. 16. Pompei, cappella Madonna dell’Assunta, interno, altare in stucco dipinto.

Chiesa del Sacro Cuore di Gesù.

Con la Bolla del 13 novembre 1973 viene istituita la parrocchia del Sacro Cuore nel complesso dell’ex-Oratorio femminile ubicato nel centro della città. Il sito, formato attualmente da tre corpi di fabbrica di distinta cronologia, il più antico dei quali, disposto nell’angolo nord-est, certamente antecedente al 1940 e corrispondente al primitivo Oratorio, è stato restaurato nel 2005, nel corpo di fabbrica meridionale  posiziona la chiesa parrocchiale, compiuta entro il quarto decennio del Novecento. Il lotto segue l’orografia del colle S. Bartolomeo e risulta delimitato a nord-ovest dallo storico villino di B. Longo, attuale sede del museo. La chiesa, da tempo in abbandono ed in pessimo stato di conservazione, non si segnala per la qualità della composizione, né per le soluzioni costruttive adottate. E’ un impianto ad aula longitudinale tripartita, sorretta da travi e pilastri in c.a., sui quali, sebbene assai deteriorate, ancora si leggono le dorature che ne scandivano le partizioni. Le pareti sono realizzate in muratura a cantieri di scheggioni vesuviani, i solai sono in putrelle e tavelloni sostituiti, nello spazio laterale destro, da strutture in c.a. Si conserva la pavimentazione in marmo bianco e verde, sostanzialmente ancora in buono stato, mentre sia le finiture che, limitatamente ad alcuni settori, le armature metalliche e le partizioni in cls risultano oggi largamente compromesse, con fuoriuscita e ossidazione di ferri e disgregazione di intere porzioni lapidee. Superiormente è un ampio salone in travi e pilastri di c.a., pavimentato a marmette, impiegato a lungo come spazio sociale destinato alle proiezioni. La facciata su via Colle S. Bartolomeo riprende la tripartizione interna con lieve risalto del modulo centrale. L’ingresso è sovrastato dall’immagine di Gesù Misericordioso realizzata, nel 1999, da Francese Mario su maioliche della fabbrica vietrese Romolo Apicella. I settori laterali sono dotati ciascuno di due finestroni rettangolari. Nel 2007 è stato presentato un progetto, poi non approntato, che conservando soltanto l’ala più antica del complesso, quella restaurata nel 2005 e prospiciente via Vittorio Emanuele, prevede la demolizione dell’ex-parrocchia e la realizzazione di una nuova struttura liturgica.

Fig. 17. Pompei, chiesa Sacro Cuore di Gesù, scorcio del complesso da via Colle S. Bartolomeo.

Fig. 17. Pompei, chiesa Sacro Cuore di Gesù, scorcio del complesso da via Colle S. Bartolomeo.

Fig. 18. Pompei, chiesa Sacro Cuore di Gesù, interno, scorcio verso il presbiterio.

Fig. 18. Pompei, chiesa Sacro Cuore di Gesù, interno, scorcio verso il presbiterio.

Chiesa di S. Maria Assunta in cielo.

Negli anni sessanta del Novecento viene attuato il proposito, più volte palesato dai vescovi pro tempore, di suddividere in più parrocchie il territorio sotto la giurisdizione della chiesa del SS. Salvatore, il primo impianto parrocchiale in ordine di tempo del distretto. La chiesa di S. Maria Assunta in Cielo, sorta in località Parrelle nell’agosto del 1962 su progetto dell’ingegnere Mario Pagliarulo dell’Ufficio Tecnico della Prelatura di Pompei, fu la prima fondazione religiosa seguita a tale intendimento. Il complesso, con annessa canonica e volumi destinati a scopi sociali, fu realizzato in muratura di mattoni a faccia vista su fondazioni in muratura continua di pietra vesuviana, seguendo dunque costumi e pratiche ancora legate alla cultura costruttiva tradizionale, sebbene il ricorso al laterizio nelle murature fuoriterra riveli un carattere di novità per l’ambito considerato. La chiesa ha un impianto ad aula unica ad accentuato sviluppo longitudinale con copertura su capriate lignee. L’edificio si presenta in forme essenziali, esaltate all’esterno dalla ricercata cortina laterizia che ne definisce i prospetti, e richiamate all’interno dai pilastri a base quadrata  della cantoria sull’ingresso e dalle porzioni di muratura di mattoni lasciate a vista alternate alle superfici trattate ad intonaco “a stucco romano”. Una foto del 1978 documenta l’originaria soluzione absidale delimitata da una balaustra, abolita in seguito all’adeguamento liturgico seriore, mentre, sulla parete di fondo, si nota la statua lignea dell’Assunta realizzata da Vincenzo Mussner, della nota genìa di scultori, allievo del professore Ludovico Mododer. Ubicata a destra del presbiterio, la cappella del Santissimo costituisce l’unica appendice dell’impianto longitudinale ritmato dalle alte finestre istoriate. Il campanile realizzato in sopralzo in muratura di laterizio in corrispondenza del cantonale nord-est, documentato fino al 1999 nei grafici di rilievo, è stato abbattuto, probabilmente, in occasione del rifacimento delle capriate. Tra le opere d’intesse sono da segnalare particolarmente: il fonte battesimale, l’altare, l’ambone e la custodia del Santissimo, produzione d’arredo del gruppo di ricerca afferente all’atelier Domus Dei. Riguardo allo stato di conservazione sono da evidenziare solo le infiltrazioni di acque meteoriche dovute alla mancata manutenzione di gronde e pluviali, che hanno provocato fenomeni di erosione ed aggressione biologica sulle porzioni di coronamento all’esterno delle cortine laterizie. Si segnala, inoltre, il ristagno di acqua piovana in corrispondenza della pavimentazione del sagrato. Le qualità delle soluzioni approntate, come di arredi ed opere sacre, autorizzano a ritenere l’impianto d’interesse anche all’interno di percorsi turistico-religiosi appositamente predisposti, destinati alla produzione architettonica liturgica contemporanea.

Fig. 19. Pompei, località Parrelle, chiesa S. Maria Assunta in cielo da via Nolana.

Fig. 19. Pompei, località Parrelle, chiesa S. Maria Assunta in cielo da via Nolana.

Fig. 20. Pompei, località Parrelle, chiesa S. Maria Assunta in cielo, scorcio dell'aula liturgica dal presbiterio.

Fig. 20. Pompei, località Parrelle, chiesa S. Maria Assunta in cielo, scorcio dell’aula liturgica dal presbiterio.

Chiesa di Maria SS. Immacolata Concezione.

Negli anni settanta del Novecento viene istituita una nuova parrocchia nella periferia nord-est, nel quartiere denominato “Tre Ponti”, sito religiosamente simbolico per il territorio per la presenza di via Arpaia, luogo in cui nel 1872 il Beato Bartolo Longo aveva avvertito “la chiamata” del Signore, diventando così apostolo del Rosario. La realizzazione della nuova sede dedicata a Maria SS. Immacolata Concezione fu commissionata all’architetto Renato Renosto. Un lustro più tardi, in collaborazione con l’ingegnere Maurizio Raimondi, l’architetto presentò una variante della prima idea, dove l’impianto centrico iniziale risulta sostituito da una morfologia trapezoidale. Il singolare impianto ad aula unica, con ingresso in posizione asimmetrica rispetto al fulcro liturgico, è denotato da un deciso dinamismo basato sulla linea diagonale, che induce il fedele a percorrere lo spazio per raggiungere una posizione frontale rispetto alla mensa eucaristica. Il percorso è scandito dalle snelle finestre a vetri policromi disegnate dal professore Luciano Vinardi. L’area presbiteriale, rialzata rispetto al vano assembleare, è dotata di un’altra creazione del Vinardi: un grande mosaico, posto in opera nel 1992, sulla parete absidale, contestualmente alla bussola in vetro policromo che collega il presbiterio alla sagrestia e agli ambienti di servizio. La particolare cura manifestata nella realizzazione dell’arredo liturgico, commissionato a noti artisti italiani, rende la fabbrica un esempio interessante e singolare di arte sacra del secondo Novecento. Tra le testimonianze più preziose è il fonte battesimale disegnato dall’architetto Mauro C. Marcelli, autore anche della mensa, dell’ambone e della sede della presidenza. Il fonte, ubicato a destra dell’altare, è concepito simbolicamente di forma ottagonale e di altezza ridotta (circa 70 cm), al fine di suggerire il senso dell’immersione. Degna di menzione è pure la porta di accesso con relativo sopraluce, realizzata nel 1984, su disegno dell’architetto Nazareno Cometto, autore anche delle porte dei confessionali. Costituite da un ossatura in alluminio e battenti in vetro, le ante sono decorate con la tecnica della sabbiatura, con figurazioni ispirate al tema della Chiesa Universale attraverso tre elementi: la Creazione, il Peccato originale e l’Immacolata, integrando la visione giovannea con la citazione del Cantico di “Colei che sale dal deserto”. La struttura dell’edificio, impostata su travi rovesce in c.a., è realizzata in muratura portante di tufo giallo con copertura piana in elementi prefabbricati in c.a.p. Il volume, dalle superfici rivestite di intonaco liscio, si erge su di un alto podio, che diventa gradinata sul fronte d’ingresso, sormontato dalla scultura in argilla dell’Immacolata, destinata originariamente a completare l’opera di Vinardi nel presbiterio. Le qualità rilevate fanno del sito una meta ambita, all’interno di percorsi culturali-religiosi interessati alla produzione architettonica liturgica contemporanea.

Fig. 21. Pompei, località Tre Ponti, chiesa di Maria SS. Immacolata Concezione, scorcio dell'ingresso dal sagrato.

Fig. 21. Pompei, località Tre Ponti, chiesa di Maria SS. Immacolata Concezione, scorcio dell’ingresso dal sagrato.

Fig. 22. Pompei, località Tre Ponti, chiesa di Maria SS. Immacolata Concezione, interno, scorcio dell'aula liturgica verso l'ingresso.

Fig. 22. Pompei, località Tre Ponti, chiesa di Maria SS. Immacolata Concezione, interno, scorcio dell’aula liturgica verso l’ingresso.

Chiesa di S. Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria.

L’ultimo complesso parrocchiale edificato nel secondo Novecento nella città pompeiana, in località Campo di Aviazione e Moregine, tra edifici multipiano di edilizia residenziale pubblica e cooperative edilizie, nella frazione meridionale della cittadina vesuviana, si situa non lontano dalla cappella della Madonna delle Grazie. Commissionato dal Pontificio Santuario della B. V. del Rosario, il progetto è stato realizzato nel 1996 su disegno dell’architetto Felice Trapani, che ne curò anche l’arredo. L’impianto trapezoidale “a ventaglio” secondo le più moderne concezioni liturgiche pone l’ingresso principale – cui si giunge attraverso un articolato percorso tra i locali di servizio – con superiore cantoria sul suo lato maggiore, asimmetricamente all’asse liturgico dell’altare maggiore. Quest’ultimo, inquadrato dal rosone sulla parete di fondo e immerso nella luce diffusa dalle finestre a nastro poste superiormente in corrispondenza del presbiterio, costituisce il fulcro visivo dell’intero spazio e delle sedute a circumstantes. Una complessa volumetria esterna, priva di una vera e propria facciata, ingloba inoltre il campanile, la canonica, gli uffici parrocchiali ed un auditorium. La cappella feriale nell’area dedicata alla penitenzieria sono allocate a sinistra dell’ingresso. La copertura è realizzata con struttura nervata in c.a. lasciata a vista. In questo modo, all’interno, sembra voler richiamare il rigore classicista dei profondi cassettonati dell’antichità. In definitiva, molte e reiterate sono le qualità architettoniche e figurative che contraddistinguono l’impianto contemporaneo, di particolare interesse proprio per la raffinata sensibilità che ne ispirò le realizzazioni.

Fig. 23. Pompei, località Moregine, chiesa S. Giuseppe Sposo della B.V. Maria, scorcio del complesso da sud-est.

Fig. 23. Pompei, località Moregine, chiesa S. Giuseppe Sposo della B.V. Maria, scorcio del complesso da sud-est.

Fig. 24. Pompei, località Moregine, chiesa S. Giuseppe Sposo della B.V. Maria, aula liturgica.

Fig. 24. Pompei, località Moregine, chiesa S. Giuseppe Sposo della B.V. Maria, aula liturgica.

Proposta di itinerari turistico-culturali per la valorizzazione del patrimonio chiesastico pompeiano.

Nell’ambito del dibattito scientifico sull’area archeologica di Pompei ha da sempre avuto un ruolo marginale il suo rapporto con la città ed il territorio[29] che le sta intorno, come affermato dalla direttrice Grete Stefani sul finire del secolo scorso e ribadito da Felice Senatore nel primo lustro del nostro[30]. Ancora oggi il mancato sviluppo sistemico del rapporto tra gli Scavi, la città consolidata e le zone a macchia di leopardo ancora libere dall’urbanizzazione appare, in verità, tra i maggiori elementi di “svalorizzazione” di questo comparto. Di conseguenza, mettere in comunicazione, integrare i diversi aspetti che qualificano l’ambito pompeiano sul piano culturale è uno dei fattori su cui puntare per attuare trasformazioni compatibili con le qualità e le vocazioni intrinseche, sostanzialmente, connotate da un patrimonio archeologico diffuso a contatto di una realtà architettonica peculiare, in gran parte di origine religiosa e di cronologia Otto-Novecentesca, in una cornice paesaggistica e ambientale che, seppure alterata, ancora conserva tratti cospicui e preziosi della secolare tradizione rurale di queste terre.

L’antica Pompei è stata spesso letta in contrapposizione allo sviluppo ottocentesco della città. Anche il Beato B. Longo sottolineò il dualismo tra città vecchia e nuova con le accezioni di “città pagana della desolazione” e “città sacra della rinascita”, in quanto legata al culto della Regina del S. Rosario. La comprensione della città storica pompeiana, dunque, non può prescindere da queste considerazioni anche nella pianificazione del suo possibile sviluppo. La valorizzazione di un sistema culturale così costituito deve, infatti, esaltare le differenze e le peculiarità che lo compongono, migliorandone l’integrazione e il rapporto reciproco in un’ottica di incremento della qualità e del bene comune. Necessaria e preliminare all’attuazione di tali scopi è, ovviamente, l’acquisizione di una puntuale conoscenza delle realtà sulle quali s’intende operare, da raggiungere attraverso indagini sul campo metodologicamente ben improntate e criticamente risolte. Soltanto in questo modo qualità, significati, vulnerabilità e vocazioni dell’oggetto di conoscenza possono essere determinate e così indirizzare le successive proposte d’intervento.

In questo senso, il censimento del patrimonio chiesastico pompeiano, e la catalogazione, redatta secondo schede appositamente predisposte, dei casi maggiormente significativi per caratteristiche architettoniche, spaziali, figurali, costruttive e materiche tra quelli segnalati[31], ha partecipato alla conoscenza più generale dell’ambito territoriale, evidenziandone peculiarità individue e dinamiche storiche caratterizzanti, tutte in grado di contribuire al migliore e più integrato sviluppo delle politiche di valorizzazione del comparto vesuviano. Tra l’altro, alcuni di questi beni, un tempo al servizio del culto, giacciono ora inutilizzati in uno stato di progressivo degrado che apertamente contrasta con il fabbisogno di servizi che attualmente connota ancora alcune aree della città. Vale la pena ricordare, tra questi, la cappella dell’Assunta, la chiesa della Madonna dell’Arco, la parrocchia del Sacro Cuore e il grande complesso costituito dall’ex Pontificio Seminario B. Longo. La conservazione di tali fabbriche dipende dal saper cogliere le risorse che esse rappresentano, pur  essendo una sorta di “ruderi moderni” in quanto privati dell’uso secondo l’insegnamento della conservazione integrata (Carta di Amsterdam, 1975), attraverso l’applicazione di «un’azione congiunta delle tecniche del restauro e della ricerca di funzioni appropriate» è possibile pervenire alla loro salvaguardia, conservandone e, al tempo stesso, attualizzandone l’identità[32].

In considerazione di quanto sopra detto, dunque, nel tentativo di riannodare in un unico sistema di fruizione le distinte peculiarità culturali del territorio pompeiano – vale a dire, le sue componenti archeologiche, storico-architettoniche, paesaggistiche e ambientali – specificatamente nelle loro connotazioni rurali, normale sviluppo del percorso conoscitivo intrapreso è sembrato la determinazione di quattro itinerari turistico-culturali in grado di presentare e raccontare le maggiori qualità, ma anche le fragilità e i rischi, cui questo patrimonio è soggetto.  A seconda della tematica trattata, dunque, gli itinerari comprendono edifici religiosi, episodi di architettura civile Otto-Novecentesca, ambiti rurali e scorci paesaggistici peculiari, dove compaiono i residui filari di vite la cui presenza sul territorio si registra fin dal I secolo d. C.[33], unitamente ai numerosi siti archeologici  diffusi sul territorio comunale fuori dall’area degli Scavi. Allo stato attuale, purtroppo, occorre segnalare in proposito che soltanto pochi di tali insiemi risultano realmente fruibili. La loro possibile apertura al pubblico, dunque, è da valutare nel quadro della generale ripresa di una politica volta alla conoscenza scientifica sistematica dell’Ager Pompeianus da tempo attesa, e già nel 1994 definita dal Soprintendente Fausto Zevi “la grande incognita di Pompei”.

Tav. 1 Proposta di itinerario turistico-culturale per la valorizzazione del patrimonio chiesastico pompeiano.

Fig. 25. Pompei, proposta di itinerario turistico-culturale n. 1.

Itinerario n. 1.

Numerose testimonianze tra cui documenti d’archivio, saggi scientifici, ubicazione e consistenza di ritrovamenti archeologici, portano a considerare la località Civita Giuliana, il cui toponimo conserva il ricordo della città antica e di alcuni non identificati praedia dei Giulii, un’area di particolare importanza negli studi di topografia storica dell’agro pompeano.

La definizione di possibili itinerari culturali di visita non poteva prescindere, quindi, da tale sito, cui è stato dedicato il primo percorso, precisamente, in corrispondenza della chiesa della Madonna dell’Arco. L’organismo religioso ad asseto longitudinale triabsidato è tra i più interessanti del patrimonio pompeiano. Un’efficace conservazione e valorizzazione delle sue strutture deve forzatamente presumere, oltre alla conservazione della destinazione al culto, tanto radicato tra gli abitanti della contrada, la possibilità di usi anche diversi, compatibili con il primo, devolvendo l’impianto a fini culturali, così da rappresentare un sito di utilità sia per i locali che per i turisti. Per questi ultimi, oltre la chiesa, il percorso di visita si svolgerebbe lungo la direttrice che, principiando da Porta Vesuvio[34] e sviluppandosi secondo antichi tracciati viari, raggiunge il confine con Boscoreale, dove sono ubicati noti siti archeologici[35].

La presenza di aggregati rurali, seppur spesso ridotti allo stato di rudere, le tracce di ville rustiche romane in scavi privati Otto-Novecenteschi, come la villa di T. Siminius Stephanus immediatamente fuori Porta Vesuvio e, più a nord, il rinvenimento di un sepolcro durante l’ampliamento del cimitero[36] confermano l’enorme rilievo culturale che la zona storicamente ha assunto, in particolare, per la comprensione dei meccanismi economici che animarono Pompei e il suo comparto. Per esempio, il rinvenimento di una villa rustica ad un centinaio di metri ad ovest del cimitero permette di ricostruirne, oltre al muro perimetrale, un angolo della cella vinaria, con il rinvenimento di materiali databili al III-IV secolo d.C., molto interessanti giacché lasciano presupporre una frequentazione dell’insediamento anche successivamente all’eruzione pliniana. Al riguardo, anche la Soprintendenza competente ne ha dichiarato «l’eccezionale interesse per la conoscenza della topografia, dell’architettura, della pittura, dell’agricoltura e della storia economico-sociale di Pompei»[37].

Una diramazione ad ovest, che consente di ammirare alcuni interessanti episodi della tipica architettura rurale della pianura vesuviana, giunge al fondo Prisco, vincolato archeologicamente per il rinvenimento di una fattoria di epoca romana, mentre una seconda diramazione che si sviluppa ad est giungendo nei pressi del cimitero, include ulteriori inedite testimonianze archeologiche. Oltre a quelle già citate, infatti, vi si rinvengono strutture murarie riferibili ad un ninfeo appartenente al giardino di una villa suburbana, una stradina in cocciopesto, e solchi di coltivazioni antiche. Tutto il percorso è immerso in una preziosa cornice ambientale connotata dai tanti alberi da frutto tipici dell’area, come il Prunus armeniaca (Albicocco), il Prunus domestica (Susino) appartenenti alla famiglia delle Rosacee insieme al Ciliegio, e coltivazioni dove si incontrano noci e noccioli, i cui frutti sono stati trovati un po’ ovunque nell’antica Pompei, e ancora, viti e melograni dal cui succo, un tempo, si ricavava una tipica bevanda o estratti medicinali[38], fino alle più recenti serre da fiore.

Ciò contribuirebbe alla riqualificazione delle diverse aree sottoposte a vincolo diretto e indiretto a seguito del rinvenimento di reperti archeologici, ma successivamente rinterrati senza un’adeguata documentazione o, in alcuni casi, in assenza di una registrazione dell’esatta ubicazione con danno per lo sviluppo della conoscenza e la diffusione del sapere[39]. La Civita-Giuliana e, in generale, la fascia di territorio comunale a nord degli Scavi, in parte vincolata dal P.R.G. come zona A d’interesse storico-ambientale e zona E2 agricola di valore paesistico, mantiene ancora abbastanza inalterati requisiti e pregi che ne fanno la cornice naturale dell’area archeologica principale, nonostante i continui “attentati” subiti a partire dagli anni Settanta con concessioni edilizie rilasciate in deroga al vigente Piano Urbanistico. I carteggi riscontrati presso l’archivio comunale testimoniano il particolare impegno dell’Ente preposto alla tutela archeologica nei riguardi dell’area in esame. Fin dal 1980 con il proliferare dell’abusivismo edilizio, che non risparmiava neanche le aree sottoposte a vincolo, il Soprintendente Fausto Zevi sollecitava il Comune ad intervenire «con ogni energia», al fine di evitare il perpetuarsi del fenomeno che comprometteva «ogni possibilità di tutela dei valori archeologici di Pompei»[40]. Segnalando, in particolare via Grotta I, via Grotta II, ma anche l’area ad ovest del mercato Marchese e quella a sud del raccordo autostradale per Castellammare. Il Soprintendente, tra l’altro, a seguito della sempre più frequente richiesta di pareri su concessioni edilizie rilasciate in deroga, spesso presentate soltanto successivamente alla ratifica della delibera consiliare, rilevò che il perpetuarsi del fenomeno costituiva di fatto una sostanziale modifica delle originarie previsioni del P.R.G. e, dato l’eccezionale interesse di tutto il territorio pompeiano, richiese una più rigorosa osservazione delle leggi urbanistiche vigenti[41].

Nel quadro di una generale intesa per la tutela del territorio del Comune di Pompei, vincolato paesisticamente ai sensi della L. 1497/39, anche il Soprintendente M. G. Cerulli Irelli ribadì, che il frequente ricorso all’istituto della deroga comportava il pericolo di uno stravolgimento dell’assetto territoriale in quanto dette deroghe, nella maggior parte dei casi si configurano piuttosto come varianti della destinazione d’uso del territorio. Sottolineando, dunque, l’opportunità che rimanesse circoscritto a casi eccezionali. Altrimenti, di fatto, si sarebbe svuotato di efficacia e significato il parere espresso dalla stessa sulle previsioni del Piano recepito in gran parte in sede di C. T. A. Regione Campania[42].

A ciò si aggiunga che, per arginare le occasioni di rinvenimenti archeologici fortuiti e incontrollati, e scongiurare le alterazioni al paesaggio storico della fascia sub-vesuviana, fu necessario ratificare tra le osservazioni al Piano il divieto di apertura di cave di lapillo[43], di cui l’area è ricca, segnalate ancora negli anni Ottanta da Stefano De Caro direttore dell’Ufficio Scavi, rilevando in traversa Grotta, grazie al servizio di sorveglianza disposto per la tutela del patrimonio archeologico, lavori propedeutici all’apertura di cave abusive e registrandone altre già attive[44].

Infine, degna di menzione è anche la preziosa presenza di una residua fonte d’acqua pubblica proprio nei pressi della chiesa, probabilmente afferente allo stesso ramo dell’acquedotto augusteo del Serino che alimentava il Castellum Aquae che, ubicato presso porta Vesuvio, alimentava le circa 40 fontane pubbliche dell’antica città[45].

Tav. 2. Proposta di itinerario turistico-culturale per la valorizzazione del patrimonio chiesastico pompeiano.

Fig. 26. Pompei, proposta di itinerario turistico-culturale n. 2.

Itinerario n. 2.

Il secondo degli itinerari previsti si sviluppa nel settore occidentale della moderna città, riallacciandosi al primo tour attraverso l’antica Pompei, in corrispondenza della via di Stabiae fino alla Porta omonima, nei pressi della quale, nell’ambito del complesso demaniale degli Scavi Archeologici, è ubicata la chiesa di S. Paolino vescovo di Nola, sede dell’antica diocesi cui apparteneva anche Pompei. L’edificio di culto venne eretto a partire 1876 proprio di fronte all’attuale ingresso principale, su progetto dell’architetto Michele Ruggiero, direttore degli scavi archeologici, che dal 1884 subentrerà ad Antonio Cua nella direzione del cantiere del Santuario mariano[46]. La fabbrica, descritta dal Soprintendente A. Dillon “piccola costruzione” ottocentesca, “vagamente neoclassica” che unita alle “case coloniche” presenta notevole interesse ambientale, conserva la tela raffigurante S. Paolino ed il busto del santo realizzato da Rinaldo Casanova. Inoltre, l’altare realizzato su disegno dell’ingegnere Luigi Fulvio, è dotato di urna per custodire le «reliquie di S. Paolino, S. Felice, S. Aspreno, S. Candida, S. Gennaro, S. Agrippino, S. Giovanni lo scriba», menzionato nella descrizione ottocentesca della fabbrica redatta dai G. A. Galante[47]. Poco distanti, percorrendo il sottopasso alla linea ferroviaria, è possibile immettersi in un’ampia zona in località Moregine immersa nel verde delle coltivazioni, su cui vige un vincolo archeologico[48] fin dal 1983 per il rinvenimento di ben 125 tavolette cerate inerenti l’attività commerciale dei Sulpicii, nella domus marittima poi identificata come villa suburbana. L’area ulteriormente indagata nel 2000 è stata ampliata ai sensi del D.L.vo 42/2004 per inglobare il rinvenimento del cosiddetto “Complesso dei Triclini”. Le strutture di Murecine sono ubicate nell’area meridionale in prossimità della via Stabiana sulla sponda settentrionale del Sarno a circa 600 m dall’antica Pompei, constano di un settore termale e tre triclini con una cucina, un peristilio, un piano superiore raggiungibile con un’ampia scala e all’esterno, vasche e diversi dispositivi idraulici a servizio dei triclini, interpretate dunque, come collegium o hospitium annesso al complesso termale[49]. Lo scavo ha rivelato interessanti reperti[50] tra cui, degno di menzione è un elemento ligneo per l’arredo dell’area dei triclini con adiacenti porticati prospicienti il giardino annesso alla struttura che si estende per ben 950 mq. Un Paradeisos, ovvero un grande recinto dotato di setti scorrevoli richiudibili a scomparsa con ruote per agevolarne gli spostamenti, atto a delimitare porzioni di giardino con arredi, fontane zampillanti, piante e svariate specie di uccelli, definito Hortus Conclusus, di cui esiste anche una rappresentazione in pittura che consente di intuire la bellezza di tali paradisi naturali[51].

L’itinerario, collegando i due poli attrattori del nucleo urbano, ossia gli Scavi e la Basilica mariana, si snoda lungo via Plinio intercettando piazza Anfiteatro ed in corrispondenza, sul fronte opposto, la prospiciente piazza dell’Immacolata antistante l’Ospizio del Sacro Cuore, progettato e realizzato nel quarto decennio del Novecento dall’ingegnere Pasquale Amodio[52]. Edificio dalle notevoli qualità spaziali è articolato su sei livelli con impianto ad “M” che richiama l’iniziale del nome della Regina del S. Rosario, a sua volta coinvolto, quale struttura turistico-ricettiva di supporto, nel progetto che vede l’Anfiteatro degli Scavi sede di rappresentazioni musicali e teatrali[53]. Lungo il perimetro occidentale dell’Ospizio sussiste un’area vincolata per il rinvenimento di strutture appartenenti ad una villa rustica del suburbio meridionale dell’antica città. Proseguendo su via colle S. Bartolomeo, da cui si accede alla cappella annessa all’Ospizio, ubicata nel braccio orientale che definisce il cortile, l’itinerario consente ai turisti di visitare il museo Bartolo Longo allogato nel villino omonimo, ultima dimora del Beato, tra le presenze architettoniche ottocentesche di maggior pregio. In tal guisa, relazionandosi direttamente col sistema turistico, beneficerebbe anch’esso del proficuo collegamento con gli altri attrattori, risultandone certamente potenziata la fruizione. Adiacente il Museo, seguendo l’orografia del colle S. Bartolomeo, è la parrocchia del Sacro Cuore istituita con la Bolla del 13 novembre 1973 nel complesso dell’ex-Oratorio femminile. La chiesa, da tempo in abbandono per le precarie condizioni delle strutture, ben si presterebbe per la sua conformazione spaziale ad essere inglobata nel progetto dell’Anfiteatro, quale nuovo Auditorium specializzato in manifestazioni musicali e teatrali legate al tema del sacro.

Il percorso prosegue con la possibilità di inoltrarsi ulteriormente nel tessuto urbano in corrispondenza di siti archeologici attualmente interrati, ad esempio, nella vicina traversa Pironti fino all’ex fondo Iozzino, su cui insiste un santuario extraurbano ascrivibile al VI secolo a. C. Tornando su via Roma, prolungamento della via Plinio, ancora nettamente riconoscibili quali segni imprescindibili del tessuto urbano consolidato, s’incontrano gli alloggi degli operai[54] impiegati nei diversi cantieri cittadini alla fine XIX secolo. Commissionato da B. Longo, il complesso consta di 5 edifici a pianta quadrata realizzati su progetto dell’architetto Giovanni Rispoli vincolati ai sensi della legge n. 1089/39. A testimonianza dell’inscindibilità tra la Pompei antica e moderna, anche durante l’esecuzione degli scavi fondazionali[55] per l’edificazione delle Case Operaie si portarono  alla luce resti di una struttura romana, probabilmente da riferire ad una fullonica, rilevata e descritta dal professore Sagliano già direttore degli Scavi e dallo storico Ludovico Pepe, cui fece seguito il ritrovamento di otto tombe di epoca più tarda[56]. Infine, il percorso culturale contempla la visita alla prima sede dell’Ospizio per le figlie dei carcerati, progettato dagli architetti romani Pio e Aristide Leonori[57], composto di due corpi di fabbrica fra loro perpendicolari situati a nord del campanile, e infine, la Pontificia Basilica, con la piazza B. Longo, progettata nel 1932 dall’ingegnere Giuseppe Pizzo di Napoli, in corrispondenza di uno snodo di storiche direttrici viarie, come la via delle Calabrie e la strada che da Nola, antica sede diocesana, giunge a Castellammare.

 

Tav. 3. Proposta di itinerario turistico-culturale per la valorizzazione del patrimonio chiesastico pompeiano.

Fig. 27. Pompei, proposta di itinerario turistico-culturale n. 3.

Itinerario n. 3.

Il terzo itinerario principia dalla piazza titolata a B. Longo, con l’intento di promuovere la fruizione oltre che delle fabbriche religiose, del complessivo sviluppo dell’impianto urbano ottocentesco e del patrimonio architettonico coevo, definito dallo stesso B. Longo nella prefazione al testo sulla storia del Santuario «vere opere di carità»[58] strettamente legate alla Basilica dedicata alla Vergine del S. Rosario. Il sagrato del Santuario dalla doppia valenza urbana, civile e religiosa, costituisce la piazza rappresentativa e il fulcro della nuova città, definito oltre che dalla stessa basilica a nord e dalle già menzionate case Operaie ad ovest, anche dalla sede civile ubicata nel palazzo del principe De Fusco a sud-ovest con la “fonte salutare”[59] allogata nel giardino annesso, e dalla Casa del Pellegrino[60] a sud-est. Dal fronte meridionale, simbolicamente in asse con l’alta torre campanaria, si sviluppa la via Sacra che collega la piazza direttamente alla stazione ferroviaria, risultato dell’ampliamento di un preesistente sentiero che attraversava la proprietà del Beato. Lungo quest’asse il percorso comprende la visita all’Ospizio per i figli dei carcerati (1892), realizzato a seguito di  un «concorso di intelligenze»[61] cui aderirono tecnici provenienti da tutta Italia, tra cui Carlo Alberto Calcaterra e Federico Albini, dotato anche di una cappella che occupa il settore nord del corpo di fabbrica prospiciente via Sacra.

Nell’ambito della storia urbana anche la stazione ferroviaria, al termine di via Sacra, merita un approfondimento, in quanto segno tangibile della dicotomia già rilevata Scavi-Santuario, essa fu inizialmente realizzata in legno e sostituita, nel 1902, da un fabbricato in muratura affiancandosi alla preesistente stazione situata presso gli Scavi, in modo da agevolare i viaggiatori nel raggiungere la nuova chiesa e, al tempo stesso, anche quello che sarebbe divenuto il centro della nuova città[62].

Superata la stazione, proseguendo verso la periferia meridionale, è possibile raggiungere l’edificio di culto particolarmente caro a B. Longo, menzionato affettuosamente nei suoi scritti come la piccola «cappella diruta» dedicata a S. Maria delle Grazie. A pianta ottagonale con copertura a cupola e corpo posteriore su impianto rettangolare è ubicata «sull’amena collinetta di S. Abbondio, che costeggia il fiume Sarno»[63], un tempo appartenne al monastero benedettino di S. Lorenzo in Aversa[64], poi proprietà della diocesi. La stessa vegetazione che connota la collina della contrada  è una testimonianza della vita religiosa dei cittadini di Valle, giacché, visitata al principio del Novecento dai Padri Passionisti, al termine della Missione, questi vi piantarono simbolicamente, contestualmente alla grande Croce, numerosi alberi di ulivo[65], che probabilmente sostituirono definitivamente i filari di viti. Infatti, la collina su cui si erge la cappella, diviene luogo simbolo dell’avvicendarsi sul territorio pompeiano di culti pagani e religiosi, in quanto antica dimora di un tempio prostilo tetrastilo di ordine dorico[66], ascrivibile al III-IV secolo a.C. dove era venerato il dio Dionisio protettore della viticultura[67]. A tale tempio dionisiaco, negli anni Novanta dotato di protezione con copertura a struttura metallica, fanno da corona una serie di altri rinvenimenti archeologici sparsi sulla collina, potenzialmente fruibili, tra cui una villa rustica nel podere denominato Case Cipriani.

Sul colle S. Abbondio tra gli ulivi si scorge, inoltre, la fabbrica inaugurata nel 1965, del Pontificio Seminario Bartolo Longo e la relativa Casa degli Esercizi progettata da Simon Pietro Salini e Renato Renosto[68] con annessa cappella detta “La Vela” per la particolare conformazione della copertura. Nel 1973 ceduto in uso alla scuola primaria diretta dalle suore[69], il complesso, che giace attualmente in stato di abbandono, potrebbe essere utilizzato, con i dovuti adeguamenti funzionali, come struttura ricettiva, data anche la sua vicinanza alle vie a scorrimento veloce, nell’economia del progetto di un sistema turistico eco-orientato, permettendo la sosta dei turisti in città, magari predisponendo piste ciclabili urbane, per fruire dei vicini rinvenimenti archeologici diffusi nel territorio circostante, tra cui l’interessante sito di Murecine già incluso nel secondo itinerario ma raggiungibile anche in tale escursione percorrendo via S. Abbondio.

Nella stessa località Moregine, non lontano dalla cappella della Madonna delle Grazie, ha sede la più recente parrocchia di Pompei dedicata a S. Giuseppe Sposo della B. V. Maria. Realizzata nel 1996 su disegno dell’architetto Felice Trapani, che ne curò anche l’arredo, ha un impianto spaziale interessante che segue le più moderne concezioni liturgiche con l’altare fulcro visivo dell’intero spazio e delle sedute a circumstantes. All’esterno, una complessa e articolata volumetria, priva di una vera e propria facciata, ingloba il campanile, la canonica, gli uffici parrocchiali ed un auditorium. In definitiva, molte e reiterate sono le qualità architettoniche e figurative che contraddistinguono l’impianto contemporaneo, di particolare interesse proprio per la raffinata sensibilità che ne ispirò le realizzazioni.

Tav. 4. Proposta di itinerario turistico-culturale per la valorizzazione del patrimonio chiesastico pompeiano.

Fig. 28. Pompei, proposta di itinerario turistico-culturale n.4.

 Itinerario n. 4.

Il quarto itinerario principiando dal già menzionato fulcro religioso del centro urbano di Pompei, procede verso nord percorrendo l’arteria di via Nolana, dove tra l’altro, sono dislocate su entrambi i versanti due ville rustiche segnalate per i reperti venuti alla luce, allo stato attuale solo parzialmente indagate. Inoltre, promuovendo la fruizione di un prezioso episodio di architettura religiosa ascrivibile alla metà del Settecento, unico superstite nel territorio pompeiano, ubicato nei pressi del confine con il comune di Boscoreale, e includendo due interessanti episodi chiesastici del secondo Novecento, il tour valorizza la periferia settentrionale del territorio connettendola direttamente al centro urbano.

Il percorso, dunque, principia dalla chiesa del SS. Salvatore, storicamente prima parrocchia del distretto, edificata in via Nolana, su progetto del noto architetto Giovanni Rispoli, in sostituzione del temporaneo alloggiamento disposto fin dal 1880 all’interno dell’erigendo Santuario. Proprio tale chiesa, che diviene simbolicamente il ceppo da cui nasceranno le altre parrocchie della città, organicamente sorte a partire dalla seconda metà del Novecento, rappresenta efficacemente il trait d’union tra i due fulcri storico e religioso della città, in quanto luogo di incontro peculiare tra l’antico e il moderno, il passato e il futuro, e spazio generatore dell’intera storia urbana e cristiana pompeiana. L’organismo annovera tra gli arredi sacri sia elementi della sede originaria tra cui il battistero, gli altari marmorei trasportati e ricomposti, e la cantoria lignea, sia opere moderne allogate in seguito all’adeguamento liturgico degli anni Settanta che ne modificò la soluzione absidale, come l’altare in pietra lavica, l’ampio finestrone rettangolare, impreziosito dalla cromia della vetrata artistica del maestro Anzolo Fuga di Murano, e il cupolino in rame istoriato a chiusura dell’antico battistero.

Lungo il moderno asse viario sul versante orientale si incontra un’area vincolata ai sensi della L. 1089/39 in seguito a saggi di scavo, che hanno rivelato strutture murarie realizzate in opera incerta, riferibili ad una villa rustica di età romana[70].

In corrispondenza del Cimitero con i relativi reperti archeologici già citati, è possibile relazionarsi all’itinerario n. 1, oppure procedere verso quello che un tempo costituiva l’antico villaggio Parrelle, oggi periferia settentrionale della città, sede di una «chiesetta gentilizia» ascrivibile alla metà del Settecento, di proprietà della famiglia Calvanese di Boscotrecase. L’impianto costituito anche da masseria e cellaio, è parte del vasto fenomeno delle ville vesuviane d’entroterra particolarmente diffuso nel corso del Settecento, parallelamente alle ville dislocate lungo la costa. Dunque, sul piano conservativo la struttura desta particolare interesse, giacché, come per la chiesa in località Giuliana, lo stato di avanzato degrado in cui versa ne ha messo in luce i caratteri esecutivi tradizionali, preziosi elementi tardo settecenteschi che, constatate le caratteristiche predominanti del repertorio chiesastico pompeiano, sono da considerare tra gli esemplari di più antica datazione che oggi è possibile rinvenire nel distretto. Auspicabile, dunque, una proposta di sviluppo integrato che vedrebbe coinvolto anche il vicino comune di Boscoreale, sede di notevoli siti archeologici che trarrebbero beneficio con la creazione di un ulteriore punto di sosta attrezzata per il turismo. Realizzabile quest’ultimo, attraverso la riabilitazione funzionale dell’intero complesso con adiacente terreno di pertinenza a fini ecoturistico-ricettivi, con la riproposizione dei tradizionali processi di produzione agricola, tra cui probabilmente il vino, vista la presenza nel cellaio della gradonata dotata di scivolo per le botti, magari integrati allo svolgimento di attività culturali di documentazione e ricerca in merito al fenomeno specifico delle masserie tradizionali dell’entroterra vesuviano.

Tale sito, pur distante dal centro, ubicato all’incontro della strada provinciale Nolana con via Spinelli, costituì meta costante per il Beato, che vi si recava per visitare l’antico luogo di culto dedicato alla Madonna Assunta. Attualmente potrebbe essere raggiunto più agevolmente predisponendo una pista ciclabile con relative aree di prelievo e deposito da prevedere, possibilmente, in tutti gli itinerari proposti.

Proprio considerando tale preesistenza, la sede della costituenda seconda nuova parrocchia fu scelta poco distante nella stessa località Parrelle, e nell’ottobre 1961 fu posta la prima pietra, dedicandola appunto a S. Maria Assunta in Cielo. Progettata dell’ingegnere Mario Pagliarulo dell’Ufficio Tecnico della Prelatura di Pompei, presenta una ricercata cortina di mattoni a faccia vista e una soluzione di facciata con terminazione curva che ricorda l’identica soluzione della cappella annessa all’Ospizio. La chiesa custodisce la scultura lignea dell’Assunta realizzata dall’artista Vincenzo Mussner della nota genìa di scultori, allievo del professore Ludovico Mododer[71].

Intraprendendo via Tre Ponti, si incontra un sito archeologico potenzialmente fruibile con resti di una villa rustica distrutta dall’eruzione del 79 d.C. di cui sono già stati esplorati quattro ambienti[72], giungendo infine alla terza parrocchia in ordine cronologico, istituita negli anni settanta del Novecento in un’area religiosamente simbolica per la presenza di via Arpaia, celebre luogo, dove nel 1872 il Beato Bartolo Longo avvertì “la chiamata” del Signore, diventando apostolo del Rosario e fautore della nuova Pompei. Progettata dal noto architetto Renato Renosto in collaborazione con l’ingegnere Maurizio Raimondi, la chiesa dedicata a Maria SS. Immacolata Concezione, costituisce un interessante episodio di architettura religiosa contemporanea per le qualità spaziali e formali presenti, ma anche per il notevole apparato liturgico che lo correda, la cui paternità è da ascrivere ad una equipe di artisti italiani, tra cui il compianto professore Luciano Vinardi e gli architetti Mauro C. Marcelli e Nazareno Cometto.

I numerosi siti archeologici menzionati nei quattro itinerari proposti, presenti omogeneamente su quasi tutto il territorio pompeiano, rendono indispensabile il superamento del concetto tradizionale, un po’ restrittivo, di area archeologica che, nel caso di Pompei, deve considerasi prevalentemente di tipo “diffuso”[73], estendendo ope legis il vincolo archeologico all’intero territorio comunale.

Aversa, 02/08/2015

Il collaboratore

arch. Margaret Bicco

Abbreviazioni archivistiche:                                                                                                       ABL  Archivio Bartolo Longo                                                                                                ASAPES  Archivio della Soprintendenza Archeologica di Pompei, Ercolano e Stabia                                   ASCP  Archivio Storico del Comune di Pompei                                                                            ASDNo  Archivio Storico Diocesano di Nola

[1] Cfr, A. M. AVINO, Madonna delle grazie in S. Abbondio-Pompei. Storia, culto e tradizioni, Pompei 1995, pp.135-145.

[2] ABL, «Progetto per la esecuzione di una Chiesa Parrocchiale sotto il titolo del SS. Salvatore in Valle di Pompei per conto dell’Ill.mo Comm.e Bartolo Longo sull’area dell’angolo nord-est del fondo detto Vitiello di proprietà dell’Ill.mo Comm.e Bartolo Longo»,Sez. I, F. 4.

[3] Ibidem.

[4] Ancora nel 1934 è segnalata, presso il comune di Torre del Greco una cava di lava in località Viuli (Cfr, L. MAGGIORE, Notizie sui materiali vulcanici della Campania utilizzati nelle costruzioni, Napoli 1936, p. 157).

[5] ABL, «Progetto per la esecuzione di una Chiesa Parrocchiale sotto il titolo del SS. Salvatore in Valle di Pompei (…) di proprietà dell’Ill.mo Comm.e Bartolo Longo», Sez. I, F. 4.

[6] Sugli aspetti materici del battuto di lapillo campano si veda: P. FRAVOLINI, C. GIANNATTASIO, H. ROTOLO, I lastrici in battuto di lapillo della Campania in G. FIENGO, L. GUERRIERO (a cura di), Atlante delle tecniche costruttive tradizionali. Napoli, Terra di Lavoro (XVI-XIX), tomo II, pp. 785-802.

[7] Fin dal 1911 tra i lavori previsti nella chiesa del SS. Salvatore concordati a cottimo tra il parroco Gennaro Federico e il mastro Giuseppe Teodosio, oltre alla tinteggiatura della facciata e degli interni a calce e colore, è documentato anche l’imbianco di latte di calce all’asfalto degli astrici solari (ABL, Sez. I, F. 4).

[8] R. PANE, Campania. La casa e l’albero, Napoli 1961, p. 57.

[9] ABL, «Progetto per la esecuzione di una Chiesa Parrocchiale sotto il titolo del SS. Salvatore in Valle di Pompei per conto dell’Ill.mo Comm.e Bartolo Longo sull’area dell’angolo nord-est del fondo detto Vitiello di proprietà dell’Ill.mo Comm.e Bartolo Longo»,Sez. I, F. 4, a. 1897.

[10] M. D’APRILE, Gli apparecchi murari del XVIII secolo in G. FIENGO, L. GUERRIERO (a cura di), Murature tradizionali napoletane. Cronologia dei paramenti tra XVI ed il XIX secolo, Napoli 1998, pp. 170-180.

[11] B. LONGO, “Il Rosario e la Nuova Pompei”, 1899, pp.134-135.

[12] ABL, «Progetto per la esecuzione di una Chiesa Parrocchiale sotto il titolo del SS. Salvatore in Valle di Pompei per conto dell’Ill.mo Comm.e Bartolo Longo sull’area dell’angolo nord-est del fondo detto Vitiello di proprietà dell’Ill.mo Comm.e Bartolo Longo»,Sez. I, F. 4, a. 1897.

[13] Ibidem.

[14] ABL, «Pianta della Nuova Parrocchia del SS. Salvatore in Valle di Pompei. Proprietà Comm.e Bartolo Longo», Sez. I, F. 4, a. 1897.

[15] L’autrice, infatti segnala un’ incoerenza della pianta da lei  pubblicata rispetto al disegno del prospetto dell’adiacente canonica: «Il disegno del prospetto sembra superare in parte quello della pianta, poiché sul lato destro della chiesa è rappresentato un edificio a due piani di dimensioni maggiori rispetto a quello in pianta». Si veda: S. G. FEDERICO, La parrocchia del SS: Salvatore, in M. IULIANO, S. G. FEDERICO (a cura di), Bartolo Longo “urbanista” a Valle di Pompei 1876-1926, Napoli 2000, pp. 69, 74 n. 19.

[16] B. LONGO, “Il Rosario e la Nuova Pompei”, 1899, p.134.

[17] ABL, Sez. I, F. 4, a. 1902.

[18] B. LONGO, “Il Rosario e la Nuova Pompei”, 1899, pp. 134-135.

[19] Archivio Storico Diocesano di Nola (ASDNo), Valle di Scafati, c. 58, a. 1835.

[20] ASDNo, «Descrizione dei luoghi della ripristinata parrocchia del SS. Salvatore di Valle», c. 58, a. 1841.

[21] ABL, «Progetto per la esecuzione di una Chiesa Parrocchiale sotto il titolo del SS. Salvatore in Valle di Pompei per conto dell’Ill.mo Comm.e Bartolo Longo sull’area dell’angolo nord-est del fondo detto Vitiello di proprietà dell’Ill.mo Comm.e Bartolo Longo»,Sez. I, F. 4, a. 1897.

[22] Alla fine dell’Ottocento “quadroni” per pavimenti realizzati con 26 cm di lato sono registrati di due qualità in ragione degli impasti e della cottura (Cfr, I. RAJOLA PESCARINI, Descrizione dei materiali da costruzione della provincia di Napoli, Napoli 1879).

[23] Cfr, L. GUERRIERO, Apparecchi murari in laterizio dell’età moderna,  in G. FIENGO, L. GUERRIERO (a cura di), Murature tradizionali napoletane … cit., p. 288.

[24] Archivio Parrocchiale del SS. Salvatore (APSS), Rilievo redatto dall’arch. Michele Varone, DIA 5 agosto 2004, prot. 25508.

[25] ASDNo, «Pianta della Nuova Parrocchia del SS. Salvatore in Valle di Pompei. Proprietà Comm.e Bartolo Longo», F. Valle di Pompei, c. 2 a. 1898.

[26] B. LONGO, “Il Rosario e la Nuova Pompei”, 1899, pp.134-135.

[27] ABL, «Misura dei lavori eseguiti da Gennaro Accardi per la costruzione di rustico di una Rotonda e Sagrestia annessa in contrada S. Abundo in Valle di Pompei di proprietà dell’Ill.mo Comm.e Avvocato Bartolo Longo», Sez. I, F. 4, a. 1895.

[28] Ibidem.

[29] Grete STEFANI, Contributo alla carta archeologica dell'”ager pompeianus”. I rinvenimenti presso Porta Vesuvio, in Rivista di Studi Pompeiani, VII, 1995-96, pp. 11-33.

[30] Felice SENATORE, Pompeii e l’ager Pompeianus, in F. SENATORE (a cura di), Pompei, Capri e la Penisola Sorrentina, Atti del quinto ciclo di conferenze di geologia, storia e archeologia. Pompei, Anacapri, Scafati, Castellammare di Stabia, ottobre 2002-aprile 2003, Capri 2004, pp. 429-449.

[31] In linea con i criteri della CEI che ha posto in essere un progetto per il Censimento delle Chiese delle Diocesi Italiane, ancora in itinere, nell’ambito del quale, le parrocchie pompeiane figurano nell’Elenco Chiese ma per esse non risulta redatta alcuna scheda di approfondimento.

[32] Tatiana K. KIROVA, Assenze e presenze nella città storica. Il caso di Cagliari, in Caterina GIANNATASIO (a cura di), Antiche ferite e nuovi significati. Permanenze e trasformazioni nella città storica, workshop internazionale di Restauro Architettonico e Urbano, Atti del Seminario, Cagliari 14-15 settembre 2007, Roma 2009, pp. 185-198.

[33] Felice SENATORE, Ager Pompeianus: viticultura e territorio nella piana del Sarno nel I sec. d.C., in Felice SENATORE (a cura di), Pompei, il Sarno e la Penisola Sorrentina, Atti del primo ciclo di conferenze di geologia, storia, archeologia, Pompei, aprile-giugno 1997, Pompei 1998, pp. 135-166.

[34] Lungo quasi tutte le strade di accesso alla città, sono dislocate necropoli extra moenia ma tra i siti più significativi dell’antica città di Pompei è possibile menzionare proprio alcune sepolture ubicate nei pressi di Porta Vesuvio. In particolare è stata riscontrata una tomba a sedile semicircolare detta “a schola”, realizzata in tufo. Mentre, con base in tufo e opera incerta stuccata, è la tomba di Septumia, e della tomba di C. Vestorius Priscus, amministratore edile si conservano stucchi in rilievo, affreschi con scene di caccia, sulla vita del defunto e lotte tra gladiatori (Cfr, SAPES, Soprintendenza Speciale per Pompei, Ercolano e Stabia, (a cura di), Piccola guida agli Scavi di Pompei, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Castellammare di Stabia 2015, p. 31).

[35] Soprattutto ville rustiche dell’antico sobborgo pompeiano, tra cui la Pisanella, il cui reperto celebre denominato il “Tesoro di Boscoreale” è in parte custodito al Louvre; la villa di Publio Fannio Sinistore, villa Regina etc.

[36] Stefano DE CARO, Notizie di vecchi scavi. Una tomba antica nel cimitero di Pompei, in “Pompeii Herculaneum Stabiae”, Bollettino dell’Associazione Internazionale Amici di Pompei, I Pompei 1983, pp. 41-48.

[37] ASAPES, Decreto di vincolo, 27 marzo 1985

[38] Antonio VARONE, I luoghi e le attività, in Marisa RANIERI PANETTA (a cura di), Pompei. Storia, vita e arte della città sepolta, Soprintendenza Archeologica di Pompei e Soprintendenza per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta, Vercelli 2004, pp. 158-161.

[39]Si veda tal proposito Grete STEFANI, Contributo alla carta archeologica dell'”ager pompeianus”. I rinvenimenti presso Porta Vesuvio, … cit., pp. 11-33; e Felice SENATORE, Pompeii e l’ager Pompeianus, in F. SENATORE (a cura di), Pompei, Capri e la Penisola Sorrentina, Atti del quinto ciclo di conferenze di geologia, storia e archeologia … cit., pp. 429-449.

[40] ASCP, nota del 2 aprile 1980, prot. 5670.

[41] ASCP, nota del 27 novembre 1980, prot. 16430; e nota del 7 luglio 1981, prot. 11090.

[42] ASCP, nota de 8 agosto 1982, prot. 13321.

[43] ASCP, nota del 17 maggio 1980, prot. 7789.

[44] ASCP, nota del 14 luglio 1980, prot. 10249. Inoltre, due anni dopo M. Giuseppina Cerulli Irelli in una nota precisa che il nulla-osta preventivo della Soprintendenza prescritto dalla normativa, è riferito non solo ad alcune zone del Comune ma estesa a tutto il territorio secondo le prescrizioni del C.T.A. e recepite dal Piano comunale per cui i delegati dell’Ente suddetto erano autorizzati ad eseguire saggi investigativi prima di nuove costruzioni (ASCP, nota del 6 aprile 1982, prot. 5914).

[45] Un grande serbatoio a pianta circolare di circa 6 m di diametro coperto a cupola, cui sul fianco est in opera reticolata si addossa il muro di Porta Vesuvio (SAPES, Soprintendenza Speciale per Pompei, Ercolano e Stabia, (a cura di), Piccola guida agli Scavi di Pompei, … cit., p. 32).

[46] Marco IULIANO, La città nuova (1876-1887), in Marco IULIANO, Serena G. FEDERICO (a cura di), Bartolo Longo “urbanista” a Valle di Pompei 1876-1926, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2000, pp. 43-44.

[47] Pasquale PETILLO, Il Santuario, in Marco IULIANO, Serena G. FEDERICO (a cura di), op. cit., pp. 88-89.

[48] ASAPES, Decreto di Vincolo 18-10-1983.

[49] Le strutture rinvenute, al termine delle indagini, sono state nuovamente interrate a causa del tracciato autostradale (NA-SA) sovrastante e radente la zona interessata, e per la presenza di una falda acquifera affiorante (ASAPES, Anna Maria SODO, Relazione Archeologica, 2 marzo 2015).

[50] Su Moregine, il “quartiere del Sarno” e gli affreschi rinvenuti si veda: Felice SENATORE, Pompeii e l’ager Pompeianus, in F. SENATORE (a cura di), Pompei, Capri e la Penisola Sorrentina, Atti del quinto ciclo di conferenze di geologia, storia e archeologia … cit., pp. 429-449.

[51] Si coglie l’occasione per ringraziare la Responsabile del Laboratorio di Conservazione e Restauro del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dottoressa Luigia Melillo per la consulenza scientifica generosamente concessa.

[52] Pasquale ARGENZIANO, Novecento napoletano. L’architettura della “Nuova Pompei” nel disegno di Pasquale Amodio, in Carmine GAMBARDELLA (a cura di), Atlante di Pompei, La Scuola di Pitagora Editrice, Napoli 2012, pp. 525-540.

[53] Il prof. arch. Carmine Gambardella ha condotto con il gruppo di lavoro il rilievo digitale integrato dell’Anfiteatro, base per il progetto di compatibilità dell’Anfitetro a sede di rappresentazioni musicali e teatrali studiato in collaborazione con i proff. Paolo Portoghesi e Mario Alberto Veronesi.

[54] Riccardo SERRAGLIO, Le “comode, nette, belle ed igieniche” Case Operaie della Nuova Pompei, in Carmine GAMBARDELLA (a cura di), Atlante di Pompei, … cit., pp. 253-262.

[55] Michele DI VIRGILIO, Preesistenze archeologiche nel sito delle case operaie, in Carmine GAMBARDELLA (a cura di), Atlante di Pompei … cit., pp. 263-266.

[56] Un progetto di restauro presentato nel 1994 ne prevedeva la riconversione in “Centro di formazione e promozione dell’artigianato sacro e delle attività connesse”. Sulle case operaie di Pompei si veda: Mariapina FRISINI, Le case operaie, in Marco IULIANO, Serena G. FEDERICO (a cura di), op. cit., pp. 107-114.

[57] Sulla figura di Aristide Leonori si veda: Francesca FABRIS, L’opera dell’architetto romano Aristide Leonori 1856-1928,  tesi di laurea in Architettura, Università di Roma “La Sapienza”, facoltà di Architettura, relatore: Giorgio Muratore, a.a. 1992-93.

[58] Bartolo LONGO, Storia del Santuario di Pompei dalle origini al 1879, Pontificio Santuario di Pompei, 2000, riproduzione anastatica dell’edizione 1954, p. 7.

[59] Dal 1907, infatti, il pozzo dell’annesso giardino, la cui acqua minerale, analizzata finanche dal prof. Cardarelli, fu classificata «superiore alle altre di simil genere sia d’Italia che dell’Estero», diverrà «la novella fonte di ricchezze per coteste contrate» (Serena G. FEDERICO, La fonte salutare e il palazzo De Fusco, in Marco IULIANO, Serena G. FEDERICO (a cura di), op. cit., pp. 140-145).

[60] Pasquale ARGENZIANO, op. cit., pp. 528-531.

[61] Angelo APRILE, L’Ospizio per i figli dei carcerati, in Marco IULIANO, Serena G. FEDERICO (a cura di), op. cit., pp. 123-132.

[62] Tre anni più tardi verrà realizzata su progetto di Luigi Dini anche la stazione della Circumvesuviana. (Cfr, Serena G. FEDERICO, Le stazioni ferroviarie, in Marco IULIANO, Serena G. FEDERICO (a cura di), op. cit., pp. 93-106; e Maria Dolores MORELLI, Nuove stazioni della Circumvesuviana. Un “moderno” Canino ed un classico Eisenman, in Carmine GAMBARDELLA (a cura di), Atlante di Pompei, … cit., pp. 267-270).

[63] Bartolo LONGO, Novena alla Madonna delle Grazie, Valle di Pompei 1912 e Bartolo LONGO, Storia del Santuario di Pompei dalle origini al 1879, cit., pp. 54-65.

[64] Anna Maria AVINO, Madonna delle Grazie in S. Abbondio-Pompei. Storia, culto e tradizioni, Pompei 1995, pp. 29-34.

[65] Bartolo LONGO, Novena alla Madonna delle Grazie, … cit., pp. 2-5.

[66] L’altare, il fregio e la cornice dentellata con iscrizione osca sono custoditi nell’Antiquarium di Pompei.

[67] Lo scavo del tempio condotto dall’archeologa Olga Elia principiò da una casuale scoperta del 1943 a seguito della formazione di un «cratere scavato da una bomba» (Robert ETIENNE, La vita quotidiana a Pompei, Milano 1988, pp. 57-58).

[68] ASCP, nota del 20 aprile 1964, prot. 704.

[69] Aniello CICALESE, Il Santuario di Pompei, guida illustrata, Pompei 1994, p. 75.

[70] ASAPES, Decreto di vincolo, 28 luglio 1988.

[71] “Parrocchia S. Maria Assunta, Pompei. Una chiesa in servizio, un popolo che testimonia la propria fede”, marzo 1978, n. unico, pp. 5-15.

[72]Le notizie inerenti tale sito sono state desunte da dati cortesemente resi disponibili dalle archeologhe Sabrina Mataluna e Maria Grazia Giuliano nell’ambito di una proficua e reciproca integrazione di competenze.

[73] Da diversi anni ha preso piede il concetto di “Museo Diffuso” quale promozione del territorio in quanto consente di “raccontare” la città attraverso le diverse risorse culturali del sistema locale di riferimento. Esempi sono Venezia, Pisa, Monteriggione in Toscana e per l’Umbria l’area archeologica dell’Antica via Flaminia che include i comuni di Otricoli, Narni e Terni.

 

 

1 S. Salvatore

2 S. Maria Rotonda

3 S. Maria alla Giuliana

6 S. Maria Assunta

5 Cuore di Ges

4 Cappella Assunta

8 S. Giuseppe Sposo