Rappresentare le diversità culturali nei siti archeologici Patrimonio Mondiale del Mediterraneo: Pompei, Butrinto, Cartagine e Pergamo.
Autore: Ph.D. Arch. Alessandro Ciambrone
Tutor: Prof. Arch. Carmine Gambardella
L’articolo si integra nelle ricerche e nei progetti operativi diretti e coordinati da Carmine Gambardella [1]: Campus Pompei ‘Ecoturismo urbano per la fruizione sostenibile dei Beni Culturali in Campania’ [2]; Atlante di Pompei [3], ‘Pompei Fabbrica della Conoscenza’ [4]; e ‘Sistema integrato di gestione dei siti del Patrimonio Mondiale in Campania’ alla base di un Memorandum of Understanding siglato il 28 maggio 2009 fra il Centro di Competenza della Regione Campania sui Beni Culturali, Economia, Ecologia (Benecon) e il World Heritage Centre dell’UNESCO .
Il paper si propone di ipotizzare un percorso culturale fra quattro siti archeologici del bacino del Mediterraneo che sono emblematici e testimoniano, in sintesi, le diversità culturali, l’intreccio fra patrimoni materiali e immateriali, l’inesauribile serbatoio di idee, filosofie e tradizioni, ancora vive, ma probabilmente poco valorizzate del Mare Nostrum.
I siti sono stati scelti perché hanno delle caratteristiche comuni che esprimono la diversità e, allo stesso tempo, l’integrazione dell’infinito patrimonio culturale di cui sono testimoni le loro aree archeologiche. Sono tutte properties iscritte al Patrimonio Mondiale, ovvero esprimono un ‘Valore Universale Eccezionale’ che li rende un bene prezioso, comune e inestimabile per tutta l’Umanità. I siti, inoltre, sono entrati in contatto, a diverso titolo, attraverso diverse relazioni e in diverse epoche, con i Romani nella loro fase di espansione e durante il loro dominio nel Mediterraneo. Le properties, infine, sono state edificate sulla costa o vicino al mare e hanno avuto la possibilità, attraverso i propri porti commerciali, di entrare in contatto fra loro e con tutte le principali culture di quei tempi, conosciute al mondo.
Perché la creazione di un percorso culturale?
L’idea nasce dal desiderio di approfondire le comuni radici, e le differenze culturali, della tradizione e dell’identità mediterranea che ancor oggi purtroppo, non unisce, ma divide, non crea sviluppo, come spesso succedeva in passato, ma si manifesta talvolta come una barriera per la comprensione fra i popoli, fra il nord e il sud, fra occidente e oriente. La storia invece insegna che proprio dall’integrazione e dall’incontro fra le differenze culturali nasce lo sviluppo sociale, politico, economico.
Lo hanno compreso bene gli esperti del turismo culturale che hanno puntato sulla creazione di percorsi turistici che approfondiscono similitudini, integrazioni e differenze per viaggiatori sempre più esigenti, alla ricerca di esperienze autentiche, di una corretta interpretazione, basata sull’approfondita conoscenza dei luoghi e dell’identità culturale dei popoli che li abitano. Ne sono un esempio i ‘Siti seriali del Patrimonio UNESCO ’, i ‘Percorsi culturali europei’ [5], le Résau des Grands Sites de France, il cui principale obiettivo è di migliorare la gestione delle properties in base ai principi dello sviluppo sostenibile [6]. Un esempio concreto, che appartiene a tutti e tre i network citati, è la rete ‘Vitour’. I paesaggi europei caratterizzati dalle vigne, coltura emblematica del territorio, sono stati inclusi nel circuito internazionale ‘Vitour’, che collega, attraverso un percorso enologico, sette vigneti europei inclusi nella World Heritage List [7].
Ovunque i percorsi culturali, se pianificati e gestiti con sapienza, hanno comportato un aumento dei visitatori per i siti inclusi nelle ‘rotte culturali’. Un aumento sostenibile che ha comportato anche una ricaduta in termini occupazionali ed economici per i territori di riferimento.
Il progetto di creare una rotta culturale fra i quattro siti di Pompei, Butrinto, Cartagine e Pergamo, si inserisce in questo framework, con le medesime finalità, e con l’ulteriore obiettivo di rendere ancora più stretti i legami scientifici, culturali e relazionali fra le comunità universitarie e istituzionali che hanno dei rapporti di cooperazione con il Benecon, nei paesi di riferimento, ovvero: la Facoltà di Architettura e di Urbanistica del Politecnico di Tirana, il Club UNESCO Almédina-Tunisi, e la Facoltà di Architettura della Istanbul Technical University.
Nell’articolo sono messi in evidenza principalmente i criteri che hanno permesso ai siti il loro inserimento nella Lista del Patrimonio Mondiale e le principali problematicità connesse, in primis, alla fruizione turistica, alla corretta interpretazione del valore simbolico e culturale dei luoghi, alla conservazione dei caratteri di integrità e autenticità, condizione indissociabile dal concetto di Outstanding Universal Value che caratterizza i siti UNESCO.
Proprio da questi valori e da queste problematicità si può avviare un processo di riscoperta e valorizzazione delle properties e la definizione di un percorso culturale, attraverso le procedure istituzionali richieste, che prevede il coinvolgimento delle collettività locali, degli enti pubblici nazionali e internazionali di riferimento e, nello specifico, dei partner scientifici menzionati, per il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile per i beni e le comunità del territorio.
Aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata.
The World Heritage Committee ha deciso di iscrivere le aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO nel 1997 in base ai criteri (iii), (iv) e (v) [8], con la seguente motivazione:
Le impressionanti rovine delle città di Pompei ed Ercolano e delle loro ville, sepolte dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., forniscono un completo e vivido quadro della società e dello stile di vita di uno specifico momento del passato senza paralleli in nessun’altra parte del mondo [9]. Il 24 agosto dell’anno 79 d.C., un’eruzione del Vesuvio seppellì le due fiorenti città romane di Pompei ed Ercolano, insieme a tutte le loro ricche abitazioni. Dalla metà del secolo XVIII, nel tempo, queste sono state portate alla luce e rese accessibili al pubblico. La vasta area commerciale della città di Pompei contrasta con i resti più limitati, ma meglio conservati, del centro residenziale di Ercolano, mentre le stupende pitture murali di Villa Oplontis [probabilmente di Poppea Sabina, seconda moglie di Nerone (n.d.a.)] di Torre Annunziata rappresentano una testimonianza vivente dell’opulento tenore di vita dei cittadini più ricchi dei primi anni dell’Impero romano [10]. Nell’ambito delle discipline connesse alla rappresentazione complessa e pluridisciplinare del territorio e del progetto ‘I Pompei. Smart and community city’ diretto e coordinato da Carmine Gambardella [11], pubblicato nell’’Atlante di Pompei’, ‘è stata realizzata una piattaforma tecnologica
del Territorio comunale, in rete con le istituzioni e Imprese, tra cui la Guardia di Finanza e Topcon del gruppo Toshiba, fondata sulla rappresentazione multidimensionale – e non tridimensionale – del punto e dell’uomo nel suo posizionarsi nello spazio. In tal modo, è stato possibile non solo avviare una conoscenza per così dire genomica del territorio, ma anche creare modelli di appropriate attività relazionali di governo e di verifica progettuale ex ante, che l’uomo può compiere collimando i propri bisogni con quelli della collettività [12]’.
Il complesso del sito UNESCO, costituito dalle tre aree archeologiche, non è fruito e percepito come un unico sistema e le properties vivono autonomamente, prive di un apparato di management unico che tuteli i beni e ne valorizzi le potenzialità. A Pompei, l’area archeologica risulta completamente estranea al tessuto urbano. I visitatori, circa 6,5 milioni l’anno [13], arrivano in Città sia per la visita agli scavi che per il Santuario della Madonna che, con 4 milioni di visitatori all’anno, risulta essere la quinta meta di pellegrinaggio religioso al mondo. Di questi pochissimi pernottano o usufruiscono delle strutture turistiche e ricettive del territorio. A questo enorme flusso di visitatori ha fatto riscontro, nei comuni di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata (includendo anche Boscoreale), un limitato numero di presenze (circa 200 mila all’anno) di persone che hanno pernottato nel territorio. Fatta eccezione per una quota rilevante di visite scolastiche, si tratta quindi di flussi esclusivamente giornalieri e di passaggio da o verso altre rinomate mete della regione o d’Italia.
L’obiettivo ultimo del progetto ‘Pompei Fabbrica della Conoscenza’ è quello di rafforzare la competitività della Città e del sistema sito UNESCO non solo nei settori associati al turismo e ai beni culturali, come l’ospitalità e la ricettività, ma anche altri settori come, per esempio, la floricultura, eccellenza storica del territorio. Infatti, ancor oggi a Pompei la produzione ed esportazione di fiori è uno dei settori economici più sviluppati, tanto che è stato possibile censire 97 ettari di serre su un territorio di oltre mille e duecento ettari. Alla Pompei sacra e degli scavi si prospetta di affiancare la città delle serre, degli orti urbani e dei giardini che diventano un elemento ordinatore di un ambiente urbano e di un paesaggio attualmente eterogeneo e rarefatto [14].
Le vie commerciali rappresentano un importante elemento di connessione fra Pompei e altri importanti poli del Mediterraneo, nell’ambito delle differenze culturali dei siti archeologici del Patrimonio Mondiale [15]. Il Periplus Maris Erythraei e la Naturalis Historia, trattato naturalistico in forma enciclopedica scritto da Plinio il Vecchio (23 – 79 d.C.), in sintesi, sono due fonti di riferimento per la definizione delle rotte che individuano scambi commerciali, sociali e culturali fra il II secolo a.C. e il 79 d.C. L’importanza di Pompei come centro principale di scambi in Campania ed emblematico del mondo romano, deriva dalla sua posizione strategica e dalla sua vicinanza al fiume Sarno. Le città campane di Pompei, Capua, Cuma, Napoli e Pozzuoli formavano, all’epoca, un’unità socio-economica ben definita [16]. Il porto di Pozzuoli ebbe un ruolo importantissimo proprio perché era uno dei porti principali di Roma. Pompei ne fu particolarmente avvantaggiata proprio per la sua vicinanza.
Per le condizioni favorevoli del clima e per la fertilità dei terreni vulcanici, la produzione agricola ebbe un florido sviluppo a Pompei. Ma anche l’importazione di prodotti di lusso rivestì un grande significato nell’economia della città campana per gli scambi con paesi lontani [17].
Pompei fu una città che realizzava beni di consumo in laboratori artigianali per i fabbisogni locali e per esportare [18]. Le ceramiche e le anfore prodotte a Pompei furono trovate in numerose località della Grecia, del nord Africa, d’Italia e della Germania, oltre che nell’area orientale del Mediterraneo [19]. Analogamente, numerosi utensili ritrovati a Pompei provengono da queste aree geografiche e da altre lontanissime, dell’India per esempio, come una statuetta di avorio della dea indù della bellezza Lakshmi, ritrovata proprio a Pompei e conservata nel Gabinetto Segreto del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, a testimonianza di scambi reciproci fra le diverse culture.
I romani, e quindi anche gli abitanti di Pompei, crearono una significativa domanda di prodotti di lusso ed esotici, che misero in contatto il Mediterraneo, attraverso le rotte commerciali, con l’Asia e l’India [20]. Numerosi tessuti in lana vennero importati nelle diverse colorazioni tipiche da diverse aree geografiche: la lana bianca dal nord Italia, quella nera dalla Spagna, la rossastra dall’Asia Minore. Un altro tessuto, particolarmente apprezzato a Pompei, fu il lino, importato dall’Egitto. Il cotone fu importato dall’Iraq e dall’India [21]. La produzione dei profumi era considerata, una delle più significative fra quelle artigianali e del lusso a Pompei [22]. Seta, sculture in avorio, oggetti in vetro, spezie, tinture e profumi erano tra i prodotti di lusso importati da terre lontane e spesso trasformati a Pompei per ricchi romani [23]. In questa enorme quantità di scambi, nelle rappresentazioni cromatiche e pittoriche che hanno arricchito le ville e gli edifici pubblici di Pompei, si legge quella vivida espressione dell’opulenza romana, che ha contraddistinto il Valore Universale Eccezionali dell’area archeologica.
Area archeologica di Pompei, foto dell’autore
Butrinto.
La World Heritage Property di Butrinto rappresenta un luogo ricco di storia e di contaminazioni culturali nella storia del Mediterraneo. Esse sono relative alle prime tracce di occupazione dell’area relative al periodo del Medio Paleolitico, circa 50.000 anni fa, fino al XVIII secolo, con l’influenza della Repubblica Veneziana [24].
La città è stata inserita nella Lista del Patrimonio Mondiale nel 1992 sulla base del criterio (iii) delle Operational Guidelines della World Heritage Convention:
L’evoluzione dell’ambiente naturale della vecchia città di Butrinto, i cui abitanti hanno abbandonato il sito alla fine del Medioevo, rappresenta un’importante traccia della civilizzazione antica e medioevale dell’attuale territorio dell’Albania [25].
Abitato fin dalla preistoria, il sito di Butrinto è stato prima una colonia greca, poi una città romana e infine un vescovato. Ebbe un periodo di prosperità sotto l’amministrazione bizantina, e dopo una breve occupazione da parte dei veneziani, la città fu abbandonata nel tardo Medioevo. Il sito archeologico ospita reperti storici e tracce di ogni periodo del proprio sviluppo e delle proprie trasformazioni urbane [26].
Immerso negli altopiani del sud dell’Albania e circondato da una densa vegetazione, il sito di Butrinto era collegato al Mediterraneo dal canale di Vivari, che congiunge il lago di Butrinto al mare Ionio. L’insediamento devenne un polo commerciale di primaria importanza nel mondo antico raggiungendo il suo apice nel IV secolo a.C. La vista delle fortificazioni da sole, che risalgono proprio a questo periodo, evocano la potenza militare ed economica della città.
La collina sulla quale è posizionata l’acropoli è arricchita da un muro costituito da grandi blocchi di pietra. L’anfiteatro del III secolo a.C., con i suoi 1.500 posti a sedere, testimonia la ricchezza culturale della property.
Il teatro è situato ai piedi dell’acropoli, affiancato da due templi, uno dei quali era dedicato ad Asclepio, il dio Greco della medicina, adorato dagli abitanti della città.
Gli scavi archeologici hanno portato alla luce piatti, vasi, ceramiche e candelabri, così come sculture fra cui una straordinaria statua, la Dea di Butrinto, che sembra incarnare perfettamente gli ideali fisici della bellezza teorizzati nei canoni greci [27].
Sotto il dominio romano la città subì in un lento declino. Nonostante ciò, tre fontane monumentali, tre bagni pubblici, una palestra decorata con mosaici e in particolar modo l’acquedotto costruito durante il principato di Augusto, dimostrano che il sito non era stato completamente abbandonato [28].
Nel periodo paleocristiano furono costruite due basiliche e un battistero. La storia medioevale della città fu turbolenta poiché il sito fu coinvolto, inizialmente, nelle lotte di potere rispettivamente contro Bisanzio, i Normanni, gli Angioini e lo stato di Venezia. Successivamente Butrinto risentì del conflitto fra Venezia e l’impero Ottomano.
Le infiltrazioni sotterranee d’acqua costrinsero gli abitanti a fuggire, e la città abbandonata fu coperta da fango e vegetazione.
Agli inizi del XX secolo furono avviati scavi sistematici e continui da parte di archeologi italiani. Dopo la liberazione dell’Albania nel 1944, gli archeologi avviarono un programma di scavi più ambizioso. Il fango e la vegetazione che coprivano Butrinto, e che l’avevano protetta dalle azioni naturali e antropiche, furono rimossi. Il sito venne ritrovato in un eccellente stato di conservazione. Le principali aree oggetto di scavi includono antichi reperti, come la dimora nota come Triconch Palace, lo spettacolare battistero, la villa romana e la chiesa a Diaporit [29].
L’intera area è di proprietà dello Stato albanese. I suoi confini sono delimitati dai villaggi di Ksamli a nord e di Vrina a sud, dove sono concentrati gli accessi al sito. La property è gestita da un manager nominato dal Ministero della Cultura e da una commissione addetta alla gestione (Ufficio di Saranda) composta da rappresentanti dell’Amministrazione municipale di Saranda, degli Istituti Nazionali dei Monumenti e dell’Archeologia, del Museo di Storia Naturale e del Ministero del Turismo.
Nel 2005 il Parco Nazionale e il sito di Butrinto sono stati inseriti nel network internazionale delle riserve tutelate dalla Convenzione di Ramsar [30].
La popolarità della property, anche grazie al riconoscimento Ramsar, cresce negli anni. Secondo i dati del Periodic Report 2006 (UNESCO WHC) il sito riceve circa 50 mila turisti all’anno, di cui 29 mila visitatori stranieri provenienti dalla vicina isola greca di Corfù. La property è dotata di un rinnovato Museo (2005), anche se necessita di nuove strutture di accoglienza e facilities per soddisfare il numero crescente di viaggiatori albanesi e stranieri.
La creazione di un network culturale fra i siti archeologici Patrimonio Mondiale ed emblematici delle diversità culturali del bacino del Mediterraneo può essere un motore propulsore per lo sviluppo del territorio. In questa logica un importante progetto di cooperazione è ispirato all’accordo di partenariato scientifico fra la Facoltà di Architettura e di Urbanistica del Politecnico di Tirana e il Centro di Competenza Benecon della Campania.
Area archeologica di Butrinto, foto: Anastasia Tzigounaki (fonte: World Heritage Centre)
Area archeologica di Cartagine.
Fondata dai Fenici, Cartagine è un sito archeologico esteso, ubicato su una collina che domina il golfo di Tunisi e la pianura circostante. Metropoli della civilizzazione punica in Africa e capitale della provincia dell’Africa ai tempi dei Romani, Cartagine ha rivestito un ruolo centrale nell’antichità come grande impero commerciale [31].
Nel corso delle Guerre Puniche, Cartagine che per finalità prevalentemente commerciali aveva occupato molte località strategiche del Mediterraneo Occidentale (Costa del Maghreb anche oltre le Colonne d’Ercole, Sicilia Occidentale, Sardegna, Corsica, Spagna Meridionale e Costa Atlantica ecc.), dovette poi cederle a Roma con gradualità dopo le sconfitte della prima Guerra Punica e quella di Zama della Seconda, fino all’anno della sua distruzione, il 146 a.C., nel corso della Terza Guerra Punica. La città, condannata alla damnatio memoriae, fu rasa al suolo e cosparsa di sale perché neanche l’erba nascesse fra le sue rovine, visto che di tanta maledizione l’odio di Roma l’aveva resa vittima, fu però ricostruita dai Romani già ai tempi di Cesare sulle rovine dell’antico sito.
Cartagine fu un luogo eccezionale per l’incontro, la diffusione e la fioritura di numerose culture che qui si sono succedute (Fenicio-punica, Romana, Paleocristiana e Araba) e di cui conserva le vestigia nel suo tracciato urbano e nelle rovine archeologiche. La metropoli e i sue due porti geometrici hanno incoraggiato un’ampia diffusione di scambi nell’ambito del Mediterraneo [32].
Fondata, come racconta la leggenda, alla fine del IX secolo a.C. dalla principessa fenicia Didone, proveniente da Tiro, Cartagine è celebre nell’immaginario universale per il suo geniale stratega Annibale, protagonista indiscusso della Seconda Guerra Punica, il suo navigatore ed esploratore Annone, che pare abbia circumnavigato l’Africa, e il suo agronomo Magone. Cartagine ha sempre nutrito la fantasia collettiva nel mondo attraverso la sua fama d’intraprendenza mercantile e abilità navale [33].
Le più conosciute componenti del sito della Cartagine fenicia sono l’acropoli di Byrsa, i porti (il commerciale e il militare) di cui restano pochi tratti ma che dovevano essere opera di straordinaria ingegneria marittima viste la loro capacità e i resti di un tofet, che era lo spazio extra urbano riservato alla sepoltura dei resti di sacrifici infantili ai balim fenici. Più numerosi i reperti archeologici di epoca romana, fra gli altri, il teatro, l’anfiteatro, il circo, l’area residenziale, le basiliche, le Terme di Antonino, le cisterne e la riserva archeologica [34].
La property è stata inclusa nella World Heritage List nel 1979 in base ai criteri (ii), (iii), (vi), così come definiti delle Operational Guidelines.
Criterio (ii): La città di fondazione fenicia legata a Tiro e rifondata dai Romani su ordine di Giulio Cesare, fu anche la capitale del Regno Vandalo e provincia Bizantina dell’Africa. Il suo antico porto testimonia scambi economici e culturali per un periodo di tempo superiore ai dieci secoli. Il tofet contiene diverse steli che evidenziano numerose influenze artistiche. Eccezionale luogo di fioritura e diffusione di diverse culture che si sono succedute (Fenicio-punica, Romana, Paleocristiana e Araba), Cartagine ha esercitato una considerevole influenza sullo sviluppo delle arti, dell’architettura e della pianificazione urbana nell’ambito del bacino del Mediterraneo.
Criterio (iii): Il sito di Cartagine è una testimonianza eccezionale della civiltà fenicio-cartaginese essendo a quei tempi il fulcro centrale nel bacino occidentale del Mediterraneo. La città è stata anche uno dei centri più importanti della civilizzazione Afro-Romana.
Criterio (vi): La fama storica e letteraria di Cartagine ha sempre nutrito l’immaginario universale. Il sito è notoriamente associato con la dimora della leggendaria principessa di Tiro, Didone, fondatrice della città, anche amplificata dalla fantasia di Virgilio che di lei tratta nell’Eneide; con il grande navigatore ed esploratore Annone, con Annibale, uno dei più grandi strateghi militari della storia, con scrittori come Apuleio (celebre per le sue Metamorfosi), caposcuola della letteratura afro-latina, con il martire San Cipriano e con Sant’Agostino, che ha studiato e ha frequentato in diverse occasioni la città [35].
Sebbene l’integrità di Cartagine sia stata sostanzialmente alterata dall’incontrollata espansione urbana di Tunisi durante la prima metà del XX secolo, la property conserva ancora essenziali elementi che hanno caratterizzato l’antica città: la rete urbana, i luoghi d’incontro (foro), culturali (teatro), di socializzazione e svago (le terme), di culto (templi) e le aree residenziali. La conservazione del sito ha garantito la generale tutela e integrità delle principali strutture, sebbene il sito archeologico continui ad affrontare pressioni antropiche che sono state contenute, parzialmente, grazie soprattutto al riconoscimento del Parco di Cartagine- Sidi Bou Saïd (Decreto 85-1246 del 7 ottobre 1985).
Il sito beneficia di numerose forme legislative di tutela dal 1885 del governo tunisino. La sua protezione è garantita, fra l’altro, dalla legge 35-1994 che riguarda la ‘Protezione del patrimonio archeologico e storico delle arti tradizionali’ e dall’Ordinanza del 16 settembre 1996 per la creazione del ‘Sito culturale di Cartagine’. Un’Unità di Conservazione dell’Istituto Nazionale del Patrimonio è responsabile della salvaguardia e della gestione del sito. Il management della property è attualmente integrata nel piano di sviluppo urbano della città [36].
Fra il 1980 e il 2001, per l’inclusione dell’area archeologica di Cartagine nella Lista UNESCO, sono stati finanziati circa 215 mila dollari di fondi internazionali per operazioni legate soprattutto agli strumenti di gestione del sito, come il Piano di Gestione e per attività legate alla conoscenza e al coinvolgimento degli stakeholders del territorio: ovvero simposi internazionali, conferenze, missioni di esperti per valutare lo stato di conservazione e gestione del sito. Sono state anche finanziate, con questo budget, consulenze per le opere di restauro come quelle, per esempio, relative alle terme di Antonio [37].
Gli esperi evidenziarono due principali problematiche: lo sviluppo di infrastrutture non pianificate nell’area circostante al sito e la negligenza delle autorità preposte alla gestione e alla tutela dello stesso. La priorità evidenziata fu quella di aggiornare, adottare e attivare un Piano per la gestione e la messa in valore dell’area archeologica, che era stato preparato alla fine degli anni ’90 ma che non era mai stato approvato e trasmesso definitivamente all’UNESCO.
Le università, i centri di ricerca, l’UNESCO, anche tramite la società civile, il Club UNESCO di Tunisi, potrebbero giocare un ruolo importantissimo proprio nella lettura e interpretazione di questo enorme patrimonio ancora non valorizzato come meriterebbe.
Area archeologica di Cartagine, foto: Jean-Jeaques Gelbart (fonte: World Heritage Centre)
Pergamo e il suo paesaggio culturale stratificato.
Pergamo fu fondata nel III secolo a.C. La sua location nella regione egea, cuore del Mediterraneo, fra l’Europa e il Medio Oriente, ha determinato il suo successo come polo culturale, scientifico e politico nel bacino del Mediterraneo. Il sito archeologico di Pergamo è stato inserito nella Lista del Patrimonio Mondiale come ‘paesaggio culturale stratificato’ in quanto mostra l’eccezionale evidenza di diverse civilizzazioni, fra cui la greca, l’ellenistica, la romana, la bizantina e l’ottomana [38].
La dinastia ellenistica degli Attalidi edificò Pergamo come capitale del proprio regno, sulla cima della collina di Kale. Essa è un esempio cospicuo di integrazione architetturale e paesaggistica. Il terreno ripido in pendenza e la pianura di Bakırçay furono integrati nel piano urbanistico della città. Questa singolare composizione di stupefacenti paesaggi e monumentali architetture comprende il più scosceso teatro e i più estesi stoà del mondo antico, uno strepitoso gymnasium su tre livelli, il Grande Altare di Pergamo, i tumuli, le condotte d’acqua, le cinte murarie, e il santuario di Cibele, che è stato ingegnosamente progettato per avere una vista in asse con la collina di Kale.
Come capitale della dinastia degli Attalidi, Pergamo fu la protettrice delle città ellenistiche. Ebbe un potere politico e artistico durante l’antichità a costruì una rete intensa di relazioni con le civiltà contemporanee. La rivalità fra le diverse dinastie ellenistiche dell’epoca dei Diadochi spinse quella degli Attalidi a creare la più famosa scuola di scultura e la più importante biblioteca dell’antichità [39].
Pergamo divenne una metropoli di prima grandezza e una delle più importanti città dell’Impero Romano in Asia. I romani conservarono le esistenti premesse costruttive del periodo ellenistico e vi aggiunsero nuove strutture urbane per connotarla come importante centro culturale e di culto della regione. Vennero pertanto erette importanti opere architettoniche fra cui il santuario di Asclepio, un centro di cura rinomato le cui acque scorrono fra le rovine, il teatro, l’anfiteatro che è uno dei più grandi dell’antichità, il tempio di Traiano, tuttora ben conservato e il Serapeo, il tempio dedicato al dio sincretico degli Egizi, Serapide, tra i più estesi del mondo.
Durante il periodo Bizantino per via dello spostamento delle nuove rotte commerciali e dei nuovi centri di potere dalla regione egea verso il Nord-Ovest dell’Anatolia, specialmente verso Istanbul, Pergamo registrò una nuova trasformazione, da centro ellenistico e romano, diventò città di secondo piano di medie dimensioni. Durante il periodo Bizantino, la città ha continuato a ricoprire un suo ruolo culturale e religioso di estrema importanza come una delle Sette Chiese della Rivelazione.
Con la venuta degli Ottomani, la città si arricchì di nuovi contributi culturali evidenti principalmente nella pianura di Bakırçay. Gli Ottomani costruirono moschee, terme, ponti, bedestens (bazar coperti), arastas (mercati Ottomani) e condutture idrauliche che sono state ritrovate nelle stratificazioni degli insediamenti romani e bizantini.
La sovrapposizione di questi differenti periodi e delle differenti culture, benché la città sia sempre stata abitata, si riflette nella struttura urbana e nelle sue architetture. Per questo motivo, il sito conserva un’evidente e profonda traccia dei connotati storici, fisici e culturali del suo ricco passato.
La Red Hall, che fu originariamente dedicata dai Romani a divinità egizie, è una delle strutture emblematiche della stratificazione della città. Il Serapeo, una volta dedicato a Serapide, fu successivamente destinato al culto di San Giovanni. Divenne successivamente una moschea ottomana e, ancora dopo, una sinagoga. Dal periodo romano a oggi, è stata sempre adattata a finalità
cultuali di differenti espressioni di fede. L’esempio più essere esteso ad altre strutture, architetture, spazi pubblici con diverse destinazioni d’uso che con il tempo hanno assunto funzioni e significati diversi, essendo espressione delle culture e del cambiamento dei tempi nella regione dell’Anatolia.
Il paesaggio culturale di Pergamo è caratterizzato dall’integrazione visuale di paesaggi rurali e urbani. Dal III secolo a.C. in poi, la città è stata arricchita da un anello di tumuli di varie grandezze che testimoniano l’espansione della città nella pianura di Bakırçay. Oltre ai tumuli, furono realizzati santuari, come quello di Cibele, collocati su prominenti colline e picchi montani nell’area intorno alla città per segnare visualmente e iconicamente la giurisdizione territoriale di Pergamo. La property, inoltre, testimonia l’evoluzione della società e dell’insediamento nel tempo, attraverso fattori sociali, economici e culturali, sia interni che esterni, che hanno comportato la definizione del contesto urbano e il suo carattere di paesaggio culturale stratificato. La città ha coniugato culti pagani, Cristianesimo, Giudaismo e Islam senza mai smarrire gli aspetti culturali anche nel paesaggio urbano.
La gestione della property è coordinata dal World Heritage Management Office dell’Amministrazione di Pergamo istituito nel 2011 e dal ‘Advisory Body’ e ‘Coordination and Supervision Body’ che hanno la responsabilità di approvare e attivare il Piano di Gestione a cui devono partecipare tutti i principali attori del territorio, fra cui, le università, le istituzioni locali e le associazioni culturali. Secondo le previsioni, il Piano di Gestione sarà pronto agli inizi del 2016.
Esiste un inventario di tutti i monumenti e degli edifici tradizionali per l’intera property.
Tutte le opere di restauro sono state eseguite in linea con le prescrizioni della Legge Nazionale sulla Tutela del Patrimonio Culturale e Naturale, a opera delle istituzioni pubbliche, dei privati e delle comunità locali, con la supervisione dall’Ufficio per le Costruzioni e lo Sviluppo dell’Amministrazione di Bergama. Scavi archeologici condotti da un team di archeologi sono stati esaminati dal Ministry of Culture and Tourism Directorate of Bergama Museum. Al fine di preservare l’integrità e l’autenticità del sito, il Piano di Gestione prevede di raggiungere cinque principali obiettivi:
1. Pergamo deve essere tutelata e gestita attraverso una visione d’insieme che tenga in considerazione sia il nucleo archeologico che il paesaggio culturale e naturale circostante che è parte integrante del proprio Valore Universale Eccezionale;
2. Le condizioni fisiche dei monumenti e del paesaggio della property devono essere monitorate sistematicamente. Le azioni di tutela e gestione devono essere orientate a un approccio pluridisciplinare;
3. L’appropriata rifunzionalizzazione del sito deve essere supportata dalla collettività locale nel rispetto del concetto di living heritage;
4. Si deve prevedere una migliore informazione e formazione relative al valore del sito;
5. Il Piano di Gestione turistica deve promuovere tutte le componenti della property: il sito archeologico, il paesaggio urbano e quello naturalistico nel quale la città si colloca.
La ricerca internazionale coordinata da università e centri di ricerca, promossa da una partnership pubblico-privata che coinvolga gli attori del territorio, più sicuramente facilitare il raggiungimento dei risultati attesi.
Area archeologica di Pergamo, fonte: World Heritage Centre, nomination file
Conclusioni.
La possibilità di creare un network e un percorso culturale fra le quattro aree iscritte nel Patrimonio Mondiale è possibile solo attraverso il coinvolgimento delle collettività locali. Gli enti di ricerca e le università partner coinvolte nel progetto possono coordinare tutte le azioni di cooperazione e possono proporsi come trait d’union fra istituzioni nazionali e internazionali e popolazioni locali, ultime destinatarie dei benefici che ne conseguirebbero e reali depositarie dell’identità e delle tradizioni dei luoghi.
Si reputa che la conoscenza della storia e delle matrici identificative di un territorio, così come delle sue evoluzioni in chiave sociale, economica e fisica (comprese le modificazioni dei beni costruiti e paesaggistici) siano premessa e presupposto essenziali per l’individuazione delle strategie più appropriate. Per una pianificazione che muova dal basso, esse possano, di fatto, trasformarsi in progetti operativi per lo sviluppo sostenibile di una collettività. La promozione del turismo sostenibile, attraverso il riferimento a modelli e best practices internazionali, è indiscutibilmente lo strumento più idoneo per la tutela e la valorizzazione del patrimonio. I principali obiettivi di questa promozione consistono nel conciliare l’identità culturale e storica di un territorio e la sua vocazione, con le necessità della collettività locale e con quelle delle autorità preposte alle politiche di management del patrimonio [40].
Esempi di successo ci parlano di networking, ovvero di reti istituzionali o informali, relazionali, sociali e culturali che hanno la capacità di far circolare e trasmettere conoscenze, esperienze e condividere tematiche e progetti in ambiti territoriali, anche estesi e non contigui, con caratteristiche comuni sempre connesse col genius loci del territorio di riferimento. Nello specifico della ricerca è importante sottolineare che l’identità territoriale, in luoghi fortemente caratterizzati da incisive presenze culturali, architettoniche e paesaggistiche, diviene il contesto di riferimento per il progetto, nel rispetto delle norme di tutela nazionali e internazionali. Con genius loci non si intende, pertanto, un piatto riferimento al passato e una riproposizione di stili, architetture o interventi sul paesaggio che prescindano dalle reali necessità attuali delle popolazioni locali. Le relazioni fra uomini e luoghi quindi variano così come cambiano le esigenze delle collettività e, con esse, le relazioni spaziali. L’atteggiamento progettuale proposto dalla ricerca, in riferimento al genius loci, si denota proprio attraverso un’azione che tenga nella dovuta considerazione queste variazioni determinate dai diversi contesti temporali. Daniel Fabre e Guy Saez hanno dimostrato, ognuno a modo suo, che la società civile (le associazioni) e le istituzioni (le richieste di iscrizione dei siti, tra le altre) producono in continuazione nuovi patrimoni legati ai monumenti, ai siti, ai territori, e ancora, alle tradizioni e ai mestieri artigianali (patrimonio immateriale). Secondo la formula di D. Fabre l’histoire a changé de lieu e, secondo la formula più esplicita di G. Saez, le associazioni del patrimonio mostrano la costruzione di una memoria che non è semplicemente ereditata e si aprono alla costituzione di un universo simbolico. Inoltre il patrimonio non deve più essere concepito come qualcosa riguardante il passato quanto piuttosto qualcosa legata al presente, come categoria d’azione proprio del presente e sul presente [41].
In un progetto collettivo nel quale il turismo diventa una componente del più ampio processo di tutela rigeneratrice del patrimonio, l’orientamento metodologico, multidisciplinare e multidimensionale struttura la conoscenza del territorio e ne orienta la gestione come ‘Fabbrica della Conoscenza’ [42].
La governance del ciclo produttivo, intesa nella sua azione rigeneratrice e modificatrice di infrastrutture, paesaggio e prodotti, si sostanzierà solo se la complessità dei valori dell’identità locale sarà discretizzata e commisurata alle conoscenze. Conoscenze da intendere nella duplice prospettiva multidimensionale della fisicità prodotta e da produrre, allo scopo di restituire ai cittadini e ai portatori d’interessi il territorio come patrimonio per intraprendere attività economiche adeguate alle diverse scale di investimento sostenibile. Ne conseguirà che i prodotti avranno tanto più valore quanto più elevato sarà il grado di conoscenza che sarà stato trasferito in ogni parte del ciclo produttivo [43].
In tal senso, l’approfondimento di realtà che sono reputate modello di management per il reale coinvolgimento delle popolazioni locali, diventa spin off per riflessioni sulle strategie da adottare, così come auspicato dalla World Heritage Convention (1972) e dalla Dichiarazione di Budapest sul Patrimonio Mondiale (2002).
Il riferimento a modelli di successo per la creazione di network culturali è fondamentale così come il coinvolgimento delle collettività locali. La creazione di una rete fra i siti archeologici di questo paper può trovare una propria attuazione attraverso più forme. Allo stato, quella della ricerca universitaria, attraverso la conoscenza pluridisciplinare dei territori, in tutti gli aspetti materiali e tangibili, sembra una condizione imprescindibile per un progetto di integrazione e dialogo fra differenti identità culturali. Un progetto di sicuro successo.
[1] Presidente del Centro di Competenza della Regione Campania sui Beni Culturali, Ecologia, Economia (Benecon), costituito da quattro Atenei (Seconda Università di Napoli, Università di Napoli ‘Federico II’, Università del Sannio, Università di Salerno), partner istituzionale del Forum UNESCO University and Heritage. Professore ordinario.
[2] Attuazione degli Obiettivi Operativi 2.1 e 2.2 del Programma Operativo FESR Campania 2007/2013.
[3] GAMBARDELLA, C. (a cura di). Atlante di Pompei. Napoli, La scuola di Pitagora. ISBN 978-88-6542-171-0.
[4] GAMBARDELLA, C. (a cura di). Best practice in heritage conservation management. From the world to Pompeii. Atti del XII Forum Internazionale di Studi “Le Vie dei Mercanti”. Aversa e Capri, 12 – 14 luglio 2014. Napoli, La scuola di Pitagora, pp. 1615-1624. ISBN 978-88-6542-347-9.
[5] Questo programma è nato nel 1987 in seno al Consiglio d’Europa con l’intento di dimostrare in modo visibile, attraverso un viaggio nel tempo e nello spazio, che il patrimonio dei paesi europei costituisce di fatto un patrimonio culturale comune.
[6] VOURC’H Anne. Directrice Réseau des Grands Sites de France, interviste dell’autore: novembre 2011 e giugno 2012.
[7] CAMPO DE MONTAUZON Chloé, Conseillère Technique de Mission Val de Loire, sopralluogo e intervista dell’Autore, aprile 2009.
[8] (iii) è testimonianza unica o eccezionale di una tradizione culturale o di una civiltà vivente o scomparsa; (iv) costituisce un esempio straordinario di una tipologia edilizia, di un insieme architettonico o tecnologico, o di un paesaggio, che illustra una o più importanti fasi nella storia umana; (v) è un esempio eccezionale di un insediamento umano tradizionale, dell’utilizzo di risorse territoriali o marine, rappresentativo di una cultura (o più culture) o dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, soprattutto quando lo stesso è divenuto per effetto delle trasformazioni irreversibili.
[9] UNESCO. Report of the 21st Session of the Committee. World Heritage Centre, 1997. Traduzione in italiano dell’Autore.
[10] UNESCO. Brief description of the property. World Heritage Centre, 2012.
[11] GAMBARDELLA Carmine, responsabile scientifico dei progetti “Pompei Fabbrica della Conoscenza 0079|2013”, e “i-Pompei: le giornate dell’Innovazione per i Beni Culturali”. Presidente del Centro di Competenza della Regione Campania sui Beni Culturali, Ecologia ed Economia (BENECON). Ex vice Sindaco di Pompei.
[12] GAMBARDELLA, Carmine (a cura di) (2012). Atlante di Pompei. Napoli, La scuola di Pitagora. ISBN 978-88-6542-171-0, pp. 11-13.
[13] Quaderno del Turismo della Regione Campania (2009) – PromuovItalia – Supporto per l’occupazione e lo sviluppo dell’industria turistica.
[14] GAMBARDELLA Carmine. Less/More Architecture, Design, Landscape. In proceedings of the X International Forum of Studies “Le Vie dei Mercanti”, Aversa and Capri, 31 May, 1 e 2 June 2012. Napoli, La Scuola di Pitagora, 2012.
[15] TEMIN, P., MARKET, A. Economy in the Early Roman Empire, Massachusetts Institute Of Technology,2001
[16] FREDERIKSEN, M. (1980/1) ‘Puteoli E Il Commercio Del Grano in Epoca Romana’, Puteoli 4–5: 5–27.(1984) Campania, Oxford.
[17] DE SENA, E.C., IKÄHEIMO, J.P. The Supply of amphorae-borne commodities and domestic pottery in Pompeii 150 Bc–Ad 79: Preliminary evidence from the House of the Vestals.
[18] LA TORRE, G.F. (1988) ‘Gli impianti commerciali a artigianali nel tessuto urbano di Pompei’ In Franchi Dell’Orto (Ed.) Pompei l’informatica al servizio di una Città Antica, Roma.
[19] CLIVE,O.R., TYERS, P.A., VINCE, A. (1993). Pottery In Archaeology. Cambridge: Cambridge University Press (Cambridge Manuals In Archaeology).
[20] PARKER, G. The Making of Roman India, Cambridge University Press, Apr 24, 2008.
[21] MOELLER, W.O., The Wool Trade Of Ancient Pompeii, Leiden 1976.
[22] MATTINGLY, D. J. “Paintings, Presses And Perfume Production At Pompeii.” Oxford Journal Of Archaeology 9.1 (1990): 71-90.
[23] LAURANCE, R. (2006). Roman Pompeii, Space And Society, Taylor & Francis E-Library.
[24] Advisory Body Evaluation 1992. UNESCO World Heritage Centre.
[25] Decision. 16COM XA – Inscription: Butrinti (Albania). UNESCO World Heritage Centre.
[26] BOWDEN, W., HODGES, R., LAKO, K. Byzantine Butrint: Excavations and Surveys 1994-1999 Oxford, Oxbow Books 2004.
[27] Advisory Body Evaluation 1999. UNESCO World Heritage Centre.
[28] HODGES, R. Eternal Butrint: A UNESCO World Heritage Site in Albania. London, General Penne UK Ltd 2006.
[29] BOWDEN, W., HODGES, R. (Ed. by). Butrint 3: Excavations at the Triconch Palace. Oxbow Books 201, pp. 374.
[30] HANSEN, I.L., HODGES,R. LEPPARD, S. (Ed. by). Butrint 4: The Archaeology and Histories of an Ionian Town. Published by: Oxbow Books 2013, 250 p.
[31]The Conservation of Archaeological Sites in the Mediterranean Region: An International Conference Organized by the Getty Conservation Institute and the J. Paul Getty Museum. May 1995.
[32] Report of the 3rd Session of the Committee 1979. UNESCO World Heritage Centre
[33] MATTINGLYA, D.J., HITCHNERA, B.R. Roman Africa: An Archaeological Review. Journal of Roman Studies / Volume 85 / November 1995, pp 165-213.
[34] Periodic reporting (Cycle 1) Section II 2000. UNESCO World Heritage Centre.
[35] Adoption of retrospective Statements of Outstanding Universal Value 2010. UNESCO World Heritage Centre.
[36] FANTAR, M.H. Carthage. La cité punique. Alif — Les éditions de la Méditerranée, Tunis 1995.
[37] State of Conservation (SOC) Archaeological Site of Carthage (Tunisia) 2012. UNESCO World Heritage Centre.
[38] Pergamon and its Multi-Layered Cultural Landscape (Turkey) (2014). UNESCO World Heritage Centre.
[39] HANSEN, Esther V. (1971). The Attalids of Pergamon. Ithaca, New York: Cornell University Press; London: Cornell University Press.
[40] The Conservation of Archaeological Sites in the Mediterranean Region: An International Conference Organized by the Getty Conservation Institute and the J. Paul Getty Museum, May 1995.
[41] HAUMONT Bernard. Le patrimoine mondial de l’humanité. Des monuments aux paysages : quels classements ? Pour quelles valeurs ? colloque « sur les paysages monumentaux, paysager et urbain », Université Lyon, février 2004 ; In MARCEL O. Paysages, modes d’emploi. Pour une théorie générale du paysage. PUL, 2006. Traduzione dell’autore.
[42] GAMBARDELLA, C. (a cura di). Atlante di Pompei. Napoli, La scuola di Pitagora, 2012.
[43] GAMBARDELLA Carmine. Le vie dei Mulini. Territorio e impresa. Collana: Rilievo è/o Progetto. Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2003.